giovedì 27 marzo 2014

CALLIGRAFIA ADDIO?

di Ana Millán Gasca

(pubblicato su Il Mattino del 25 marzo 2014)

Calligrafia addio, si rallegrano alcuni; il disastro dell'abbandono della scrittura manuale a scuola, lamentano altri: negli ultimi anni sulle pagine dei giornali, in Germania, in Italia, negli Stati Uniti, si registrano posizioni apparentemente inconciliabili. Da una parte, i proclami di chi considera la scrittura a mano un retaggio del passato che scomparirà inevitabilmente e in tempi rapidi e chiede che la scuola si adegui fin da subito alle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni, "arrendendosi" alla digitalizzazione della lettura e della scrittura (libri, lettere, giornali, appunti), e che abbandoni non soltanto i libri di carta ma anche carta e penna. In queste posizioni si nasconde l'ennesimo rifiuto delle tradizioni scolastiche europee, considerate oppressive, noiose e isolate dal mondo reale. Si sono alzate molte voci però contro una prospettiva considerata pericolosa e non l'ennesima trasformazione della vita quotidiana come conseguenza delle trasformazione tecnica: la diffusione della stampa ha ampliato gli orizzonti culturali e la forza del pensiero, mentre l'abbandono della scrittura avrebbe come conseguenza un impoverimento del pensiero umano. A sostegno di quest'ultima tesi vari studi hanno esplorato il rapporto tra grafia manuale e capacità espressiva e di lettura (Steve Graham negli Stati Uniti, Sibylle Hurschler in Germania), soprattutto nei bambini, ma sono spesso ricerche fragili che puntano tutto su un collegamento difficile da dimostrare fra il gesto della scrittura e il cervello. Così, libri come il recente Demenza digitale dello psicologo e neuroscienziato Manfred Spitzer, suscita adesioni incondizionate oppure è accusato dai fautori a oltranza del digitale di nascondere sotto una veste scientifica una posizione puramente ideologica e conservatrice. Recentemente all'Università Roma Tre gli studenti futuri insegnanti della scuola primaria hanno ascoltato e dibattuto molto animatamente la difesa della calligrafia da parte di uno dei fondatori dell'Associazione Calligrafica Italiana, Anna Ronchi. Questa è stata la prima, istintiva reazione di giovani che sono nati in anni in cui esisteva già la posta elettronica e che acquistano un tablet con i primi soldi guadagnati.
Già, perché mentre il dibattito sembra senza via di uscita, nelle scuole la questione non si affronta e la scrittura a mano è abbandonata a stanche abitudini. Il paradosso, infatti, è che il modello grafico del corsivo che s’insegna nella scuola italiana risale alla fine del Settecento e soprattutto, è stato sviluppato per uno strumento di scrittura, il pennino ormai del tutto superato: infatti è necessario evitare di alzare la punta del pennino dal foglio, se non per intingerlo nell'inchiostro e quindi le lettere avanzano in un modo lento, che non accompagna il pensiero inquieto dei bambini, e soprattutto degli adolescenti; con il risultato che nella scuola media le lettere tracciate impazientemente diventano irriconoscibili, la grafia illeggibile anche all’autore che speso ripiega sul maiuscolo, altrettanto faticoso e inadatto per scrivere a mano, mentre i numeri ballano e si confondono e portano a errori di calcolo. Ma è possibile che in decenni che hanno visto uno straordinario sviluppo della grafica – si pensi alle etichette dei vini, alle copertine, all'impianto grafico dei libri, alla grafica su Internet – non vi sia stata un'innovazione della calligrafia tale da scongiurarne l’abbandono? Si rende necessario forse oggi che a scuola si impari un po’ di dattilografia per usare le tastiere in un modo un po’ più evoluto di quello con due dita: questa non è un’innovazione che ci deve spaventare. Ma detto ciò, sono alcuni millenni che l'alfabetizzazione inizia dalla scrittura a mano, e forse senza scomodare possibili conseguenze sull'ippocampo una semplice prudenza consiglia di non sottrarre alle giovani generazioni questa esperienza; il suo valore pedagogico è sottolineato dalla ricerca diretta da Benedetto Vertecchi in alcune scuole di Roma di cui ha parlato Il Messaggero nei giorni scorsi.

La risposta infatti è a portata di mano. In Francia nel 1999 è stato convocato un concorso nazionale per sostituire la scrittura scolastica tradizionale con un modello più efficace, e anche più bello, che non ostacoli il fluire dell'idee ma sia sentito dagli adolescenti come un buon compagno nella ricerca di sé. Non è facile mettersi d'accordo per trasformare una tradizione secolare, e persino nella Francia centralista hanno vinto due diversi set di caratteri. Paradossalmente, quasi tutte le innovazioni proposte negli ultimi anni – ve ne sono state in molti paesi europei – ruotano attorno al modello "italico", chiamato così perché si ispira alla scrittura cancelleresca italiana del Rinascimento, e che fu sviluppato negli anni Trenta da un calligrafo inglese, Alfred Fairbank (http://www.italic-handwriting.org). L'Associazione Calligrafica Italiana ha elaborato una proposta per la scuola italiana, anzi due. Il corsivo 1.0, curato da Anna Ronchi, è un'evoluzione del corsivo tradizionale nella forma delle lettere (una t più corta, meno riccioli di unione) e nel modo di legarle, e usa le lettere romane per il maiuscolo, semplificando la consuetudine ora molto diffusa nelle prime classi prime in Italia di far scrivere quattro forme diverse per ogni lettera. L'italico 1.0, agile e moderno, molto regolare nella forma delle lettere –  che sono derivate dalla a che si apre (u), ruota (n), si duplica (m) – si rivolge a coloro che vogliono osare di più oppure si può proporre nella scuola media quando i ragazzi e ragazze desidera una grafia più asciutta e trasformabile secondo un proprio stile. I modelli sono proposti in libretti, diversi per destri e mancini, che si collocano davanti al banco su un piccolo sostegno in legno. Gli allievi non copiano modelli statici, al contrario: la via della scrittura avanza per gruppi di lettere a seconda della forma e le lettere si collocano su righe parallele di cielo (dove si alzano la t, la d, la b), erba (dove vivono la n, la a, la c) e terra (dove scendono la p, la q); i numeri e i simboli matematici si disegnano nel modo giusto sui quadretti per poter essere allineati nei conti senza errori. I bambini, impugnando la penna in modo equilibrato, aiutati dal colore delle righe e dei tratti di unione, sentiranno il movimento sul foglio della scrittura accompagnare i loro pensieri e volare con l'immaginazione, e – come i bambini cinesi alle prese con i loro ben più complessi esercizi di calligrafia – vedranno nello scheletro della scrittura anche i segmenti, i cerchi e le proporzioni della matematica. Anche gli studenti più “digitali” della Formazione Primaria dell’Università Roma Tre si sono appassionati a questa proposta.








domenica 9 marzo 2014

Qualche consiglio a un genitore che si chiede come traghettare il bimbo verso le scuole medie

Alcune scuole medie consigliano – per iniziare bene le medie – di svolgere durante l'estate tre addizioni, tre sottrazioni, tre moltiplicazioni e tre divisioni ogni giorno, e ripassare le formule delle aree e dei perimetri delle figure piane. Capiamo la loro preoccupazione per "i fondamentali", come si usa dire, e nel contempo apprezziamo la disponibilità a farsi carico anche della peggior preparazione matematica di un alunno in arrivo dalle scuole primarie: come a dire, ce ne occupiamo noi, tentate almeno di portarci ragazzi e ragazze che non sbaglino i riporti in colonna e sappiano le tabelline.
Tuttavia, questo allenamento di calcolo rischia di rinforzare negli allievi una visione distorta della matematica come puro agglomerato di procedure di calcolo, una materia che consiste in esercizi e non ha un contenuto, quasi una materia nella quale non serve pensare ma occorre applicare meccanicamente delle tecniche, talmente meccaniche che l'errore è sempre in agguato. Questa visione è rinforzata da certi eserciziari per le vacanze, le cui pagine sono l'emblema della visione che cerchiamo di contrastare in questo blog.
Vuole impegnarsi, da genitore? Il libro Pensare in matematica vi aiuterà ad avere una visione della matematica che abbia senso umano, che faccia intuire ai figli che in essa si nascondo tanti enigmi interessanti e gli sforzi di tanti per decifrarli, tante idee che sono legate alla esperienza e all'intraprendenza degli uomini. Nel libro troverete vicende da raccontare ai bambini, ad esempio sull'origine dei numeri e su come si scrivevano in altre epoche, e sull'origine della geometria. Oltre al racconto, e anche senza l'aiuto del libro si possono inventare problemi aritmetici semplici, presi dalla vita di ogni giorno, inclusi i decimali: ogni esempio è buono, dal calcolo del prezzo totale dei biglietti per il cinema, al calcolo del risparmio approfittando di un'offerta al supermercato, al calcolo della frazione di una distanza che abbiamo ancora da percorrere in un viaggio. E si provi a spiegare al suo figlio come si scrivono i numeri con i simboli dei Romani!
Per la geometria, suggerisca di osservare figure solide (se ne trovano tante in cucina!) e faccia disegnare le figure al bambino con carta a quadretti da 1 cm, righello e compasso (spesso i bambini non hanno afferrato questi strumenti mai, alla fine della quinta classe); non dimentichi che i quadrilateri, i poligoni di quattro lati, possono avere una grande varietà di forme irregolari, così come vi sono molti triangoli che non sono né equilateri né rettangoli, e che ruotando il foglio le figure si trovano in posizioni molto curiose! Faccia calcolare un po' di perimetri e aree contando quadretti, anche in modo approssimato. Faccia domande che richiedano di misurare alcune lunghezze oppure dei tempi con un metro e un cronometro, e alcuni angoli con il goniometro. Poi ponga problemi geometrici semplici ad esempio esaminando rapporti fra figure, come un rettangolo e un quadrato di perimetro 12 cm, oppure due quadrati di cui uno ha il lato tre volte l'altro. Lo aiuti a comprendere e descrivere con parole il perché delle formule delle aree e dei perimetri, iniziando con quelle del quadrato, del rettangolo, del parallelogramma, del triangolo rettangolo.
Siamo sicuri – l'esperienza insegna – che suo figlio si risveglierà come da un sogno, e mostrerà curiosità, e allora potrà proporre un po' di calcolo mentale, all'inizio semplicissimo, sempre un po' scherzoso, usando i numeri tondi, e infine, senz'altro alcune operazioni in colonna saranno un buon allenamento per la prima media.
Preferisce che il bambino faccia autonomamente? Allora le consigliamo tre libri di lettura matematica di Anna Cerasoli: Sono il numero 1 (sui numeri interi), Io conto (sulle frazioni) e Tutti in cerchio (sulla geometria), tutti pubblicati da Feltrinelli kids, che formano insieme una felice presentazione della matematica, coinvolgente e completa. Può anche leggerli insieme a suo figlio, oppure organizzare un club di matematica con altri compagni un'ora a settimana. Anche in questo caso, prima serve scoprire cosa indaga la matematica (che è poi quello che si assimila esercitandosi!), e poi il bambino accetterà anche di fare un bel po' di operazioni in colonna!

Ciò che è in gioco è superare la delusione, il senso di estraneità e il non aspettarsi niente di buono dalle ore di matematica, che si trova persino nei bambini che "vanno bene" in matematica, figuriamoci in quelli che hanno un'istruzione matematica scadente o che, peggio, si trovano già in gran difficoltà o hanno già sviluppato l'astio verso la materia. Allora riuscirà finalmente ad apprendere qualcosa, e si mostrerà disponibile persino a fare molti, molti esercizi!
Ana Millán Gasca