Mio
padre ottenne la patente a cinquant’anni: inutile dire che non guidò mai bene,
non fu mai un “nativo automobilistico”. La faccenda dei “nativi digitali” è simile:
se s’inizia a trafficare con computer, tablet e smartphone molto presto si
acquisisce una familiarità che è preclusa agli “anziani”. Ma è proprio così?
Nei fatti, l’analogia è fallace, perché la guida di un’automobile è un fatto
prevalentemente fisico, che coinvolge azioni assai elementari e limitate in
numero. Al contrario, gli apparati digitali sono altamente stratificati e
offrono un’enorme molteplicità di attività che è tutt’altro che facile
sfruttare fino in fondo. Chi osservi il comportamento dei “nativi digitali” che
agiscono solo sulla base dell’intuizione si renderà facilmente conto che, in
realtà, usano una minima parte delle facoltà degli apparecchi, e si limitano
per lo più a trafficare con la messaggeria telefonica, con videogiochi semplici,
non hanno la minima idea di come sfruttare un programma informatico sofisticato
e, al contrario del caso automobilistico, restano molto al di sotto delle
capacità di un adulto.
Questo
va detto per sfatare la leggenda metropolitana dei “nativi digitali” dietro cui
si trincerano coloro che – con il tipico servilismo giovanilista – si
sbracciano a dire che il mondo è cambiato, che la “vecchia” cultura è ormai
obsoleta, e che bisogna consegnare alle giovani generazioni digitalizzate il
compito di costruire una nuova cultura – e di conseguenza, un nuovo modo di
apprendere – come risultato spontaneo dell’accumulazione di informazioni in
rete. Come se la conoscenza potesse essere identificata con l’informazione…
Ma
quel che colpisce nella demagogia giovanilista dei “nativi digitali” è
l’assenza di una riflessione sulle diverse modalità implicate nell’uso di mezzi
diversi. Eppure, in ambito pedagogico, riflessioni del genere sono state fatte
ed è davvero curioso che si continui a ripetere che i giovani hanno perso la
capacità di concentrazione senza riflettere sulle cause di questa deriva, che
non è un fatto “naturale” bensì qualcosa che noi adulti stiamo
irresponsabilmente fabbricando.
È
facile capire che lo strumento di cultura e di apprendimento che richiede il massimo
di attività soggettiva è il libro: i suoi caratteri sono immobili, il senso e
le immagini del testo vanno estratte con un grande sforzo di ragionamento e di
fantasia. Il libro richiede un impegno attivo massimo. Si è imputato alla
televisione l’annullamento di questa attività soggettiva, e ciò è in parte
vero, anche se la televisione, come il cinema, offre comunque immagini preassegnate
su cui si può esercitare liberamente la fantasia e l’interpretazione. Ben altra
cosa è il tablet che – come lo smartphone, e molto più del computer – ha un’autonomia
soggettiva enorme. Il tablet “ti viene addosso”. Basta sfiorarlo e succedono
mille cose indipendenti da te e inattese. Se l’utente non possiede un grado di
autodifesa molto alto e non è capace di controllare fino in fondo la macchina, se
non ha la maturità sufficiente per sfidare l’“autonomia” della macchina
imponendo il dominio della propria intenzionalità, può diventarne un puro e
semplice burattino. Ed è facile costatare che tanti “nativi digitali” cadono
preda del tablet in un regime di completa impotenza. Un aspetto fondamentale
nella maturazione del giovane è lo sviluppo della capacità di creare narrazione.
Se il libro è lo strumento per eccellenza per stimolare questa capacità e se il
cinema e la televisione lo fanno in misura minore, ma non nulla, il tablet
sgretola qualsiasi tessuto di attività autonoma, imponendo il proprio, e
impedisce la creazione della narrazione.
Non
si tratta certo di proscrivere uno strumento straordinario, e di assumere atteggiamenti
luddisti, ma di comprendere che ogni strumento va usato a tempo debito e quando
si è capaci di farne un uso ottimale. L’apprendimento mediante tablet può
essere una devastante follia nelle menti di chi ancora non riesce a controllare
un simile strumento e non ha costruito la capacità di concentrazione e di
narrazione di sé.
Si
dimentica che in un’intervista del 1996 Steve Jobs dichiarò di essere giunto
alla «conclusione inevitabile che il problema dell’educazione non può essere
risolto dalla tecnologia. Quel che non funziona nell’educazione non può essere
corretto con la tecnologia». Sono passati anni e gli interessi economici hanno
spinto nel dimenticatoio quelle importanti ammissioni. Ma è di un paio di anni
fa un servizio del New York Times che spiegava come nelle scuole esclusive
della Silicon Valley, quelle frequentate dai figli dei grandi manager delle
ditte informatiche, non si tocca un computer, un tablet o uno smartphone prima
delle ultime classi scolastiche. Si usano soltanto lavagne e gessi colorati,
oggetti materiali per apprendere a esercitare la fisicità e la fantasia. Uno di
quei manager ha affermato senza mezzi termini che l’idea che un tablet possa
aiutare il proprio figlio ad apprendere a leggere o a fare operazioni
aritmetiche è semplicemente ridicola. È da pensarci bene prima di buttarsi a
capofitto in una delle ennesime trovate che nascondono con ideologie
sgangherate corposi interessi economici, con l’unico effetto di spianare a zero
le capacità di concentrazione già esilissime dei nostri poveri “nativi
digitali”.
(Giorgio Israel – Il Foglio - 17 settembre 2014)
Accanto ai pedagogisti e a coloro che si limitano a una servile adulazione, andrebbe citato il lavoro di psichiatri e psicoterapeuti molto seri, che hanno guardato al fenomeno dei "nativi digitali" dal loro punto di vista, osservando che la preponderanza di materiale visivo limita le capacità di elaborazione simbolica. Uno per tutti: il professor Tonino Cantelmi.
RispondiEliminaBellissimo! Da "nativa digitale" a cui è stato messo tra le braccia un computer dal proprio editore, senza sapere dove porre mano (i file incautamente chiamati con lo stesso nome non ti venivano fatti notare, semplicemente il secondo prendeva il posto del primo e... questo mi fece saltare un lavoro di tre giorni). Preoccuparmi? Cosa dire allora del fatto che a 23 anni mi misero in braccio mia figlia appena nata (l'ospedale non aveva nurse), senza libretto d'istruzione? Oggi è viva, bella, intelligente e l'ho cresciuta senza essere "nativa maternale"... L'intelligenza è proprio una gran bella dote, ovunque si applichi, sia nel "naturale" che nel "virtuale"
RispondiEliminaSotto gli 11 anni non farei proprio entrare il digitale nella scuola. Come mai il ministero ha i soldi per la LIM e non per la carta igienica?
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