di Ana Millán Gasca
(pubblicato su Il Mattino del 25 marzo 2014)
(pubblicato su Il Mattino del 25 marzo 2014)
Calligrafia addio, si rallegrano alcuni; il
disastro dell'abbandono della scrittura manuale a scuola, lamentano altri:
negli ultimi anni sulle pagine dei giornali, in Germania, in Italia, negli Stati
Uniti, si registrano posizioni apparentemente inconciliabili. Da una parte, i
proclami di chi considera la scrittura a mano un retaggio del passato che
scomparirà inevitabilmente e in tempi rapidi e chiede che la scuola si adegui
fin da subito alle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni, "arrendendosi"
alla digitalizzazione della lettura e della scrittura (libri, lettere,
giornali, appunti), e che abbandoni non soltanto i libri di carta ma anche
carta e penna. In queste posizioni si nasconde l'ennesimo rifiuto delle tradizioni
scolastiche europee, considerate oppressive, noiose e isolate dal mondo reale.
Si sono alzate molte voci però contro una prospettiva considerata pericolosa e
non l'ennesima trasformazione della vita quotidiana come conseguenza delle
trasformazione tecnica: la diffusione della stampa ha ampliato gli orizzonti
culturali e la forza del pensiero, mentre l'abbandono della scrittura avrebbe
come conseguenza un impoverimento del pensiero umano. A sostegno di
quest'ultima tesi vari studi hanno esplorato il rapporto tra grafia manuale e
capacità espressiva e di lettura (Steve Graham negli Stati Uniti, Sibylle
Hurschler in Germania), soprattutto nei bambini, ma sono spesso ricerche
fragili che puntano tutto su un collegamento difficile da dimostrare fra il
gesto della scrittura e il cervello. Così, libri come il recente Demenza digitale dello psicologo e
neuroscienziato Manfred Spitzer, suscita adesioni incondizionate oppure è
accusato dai fautori a oltranza del digitale di nascondere sotto una veste
scientifica una posizione puramente ideologica e conservatrice. Recentemente
all'Università Roma Tre gli studenti futuri insegnanti della scuola primaria
hanno ascoltato e dibattuto molto animatamente la difesa della calligrafia da
parte di uno dei fondatori dell'Associazione Calligrafica Italiana, Anna
Ronchi. Questa è stata la prima, istintiva reazione di giovani che sono nati in
anni in cui esisteva già la posta elettronica e che acquistano un tablet con i
primi soldi guadagnati.
Già, perché mentre il dibattito sembra
senza via di uscita, nelle scuole la questione non si affronta e la scrittura a
mano è abbandonata a stanche abitudini. Il paradosso, infatti, è che il modello
grafico del corsivo che s’insegna nella scuola italiana risale alla fine del
Settecento e soprattutto, è stato sviluppato per uno strumento di scrittura, il
pennino ormai del tutto superato: infatti è necessario evitare di alzare la
punta del pennino dal foglio, se non per intingerlo nell'inchiostro e quindi le
lettere avanzano in un modo lento, che non accompagna il pensiero inquieto dei
bambini, e soprattutto degli adolescenti; con il risultato che nella scuola
media le lettere tracciate impazientemente diventano irriconoscibili, la grafia
illeggibile anche all’autore che speso ripiega sul maiuscolo, altrettanto
faticoso e inadatto per scrivere a mano, mentre i numeri ballano e si
confondono e portano a errori di calcolo. Ma è possibile che in decenni che
hanno visto uno straordinario sviluppo della grafica – si pensi alle etichette
dei vini, alle copertine, all'impianto grafico dei libri, alla grafica su
Internet – non vi sia stata un'innovazione della calligrafia tale da scongiurarne
l’abbandono? Si rende necessario forse oggi che a scuola si impari un po’ di
dattilografia per usare le tastiere in un modo un po’ più evoluto di quello con
due dita: questa non è un’innovazione che ci deve spaventare. Ma detto ciò, sono
alcuni millenni che l'alfabetizzazione inizia dalla scrittura a mano, e forse
senza scomodare possibili conseguenze sull'ippocampo una semplice prudenza
consiglia di non sottrarre alle giovani generazioni questa esperienza; il suo
valore pedagogico è sottolineato dalla ricerca diretta da Benedetto Vertecchi
in alcune scuole di Roma di cui ha parlato Il
Messaggero nei giorni scorsi.
La risposta infatti è a portata di mano. In
Francia nel 1999 è stato convocato un concorso nazionale per sostituire la
scrittura scolastica tradizionale con un modello più efficace, e anche più
bello, che non ostacoli il fluire dell'idee ma sia sentito dagli adolescenti come
un buon compagno nella ricerca di sé. Non è facile mettersi d'accordo per
trasformare una tradizione secolare, e persino nella Francia centralista hanno
vinto due diversi set di caratteri. Paradossalmente, quasi tutte le innovazioni
proposte negli ultimi anni – ve ne sono state in molti paesi europei – ruotano
attorno al modello "italico", chiamato così perché si ispira alla
scrittura cancelleresca italiana del Rinascimento, e che fu sviluppato negli
anni Trenta da un calligrafo inglese, Alfred Fairbank (http://www.italic-handwriting.org).
L'Associazione Calligrafica Italiana ha elaborato una proposta per la scuola
italiana, anzi due. Il corsivo 1.0, curato da Anna Ronchi, è un'evoluzione del
corsivo tradizionale nella forma delle lettere (una t più corta, meno riccioli
di unione) e nel modo di legarle, e usa le lettere romane per il maiuscolo,
semplificando la consuetudine ora molto diffusa nelle prime classi prime in
Italia di far scrivere quattro forme diverse per ogni lettera. L'italico 1.0,
agile e moderno, molto regolare nella forma delle lettere – che sono derivate dalla a che si apre (u),
ruota (n), si duplica (m) – si rivolge a coloro che vogliono osare di più
oppure si può proporre nella scuola media quando i ragazzi e ragazze desidera
una grafia più asciutta e trasformabile secondo un proprio stile. I modelli
sono proposti in libretti, diversi per destri e mancini, che si collocano davanti
al banco su un piccolo sostegno in legno. Gli allievi non copiano modelli
statici, al contrario: la via della scrittura avanza per gruppi di lettere a
seconda della forma e le lettere si collocano su righe parallele di cielo (dove
si alzano la t, la d, la b), erba (dove vivono la n, la a, la c) e terra (dove
scendono la p, la q); i numeri e i simboli matematici si disegnano nel modo
giusto sui quadretti per poter essere allineati nei conti senza errori. I
bambini, impugnando la penna in modo equilibrato, aiutati dal colore delle
righe e dei tratti di unione, sentiranno il movimento sul foglio della
scrittura accompagnare i loro pensieri e volare con l'immaginazione, e – come i
bambini cinesi alle prese con i loro ben più complessi esercizi di calligrafia
– vedranno nello scheletro della scrittura anche i segmenti, i cerchi e le
proporzioni della matematica. Anche gli studenti più “digitali” della
Formazione Primaria dell’Università Roma Tre si sono appassionati a questa
proposta.
la questione è molto interessante. come insegnante delle medie vorrei segnalare i problemi che rilevo io:
RispondiElimina1. molti alunni scrivono in modo illeggibile perchè il tracciato delle lettere è completamente sbagliato (orario quando dovrebbe essere antiorario, oppure dal basso verso l'alto in lettere come la t, ecc.). quindi la questione del tracciato settecentesco antiquato secondo me è un problema secondario, anche perchè il corsivo 1.0 proposto (molto bello!) è simile al corsivo scolastico attuale (se solo fosse insegnato in modo preciso...)
2. molti alunni impugnano la biro in modo da non vedere quello che scrivono, che rimane coperto dalla mano quasi chiusa a pugno. quindi capita molto spesso che tengano il foglio ruotato a 90°, scrivendo quindi dal basso verso l'alto, o che tengano la testa appoggiata al banco sull'orecchio sinistro.
3. ci sono alunni che hanno un problema più generale di visualizzazione e organizzazione spaziale, che non riescono ad avere una vaga idea di cos'è un margine o un'interlinea regolare (non sanno scrivere su tutte le righe o su una riga sì e una no, ma vanno a caso), che quando svolgono esercizi vari non riescono assolutamente ad adattare la dimensione della propria scrittura agli spazi disponibili per le risposte.
sinceramente penso che un po' di addestramento da piccoli, con cornicette stile "Roselline", avrebbe evitato questi problemi. ma Roselline non va più di moda, e quando arrivano alle medie ormai sono grandi per le cornicette.
io gli fornisco una tavola con il tracciato corretto delle lettere, ma è uno strumento che lascia il tempo che trova.
forse ci vorrebbe un Roselline rivisitato, con disegni attuali che possano piacere ai ragazzi di instagram e whatsApp. e poi all'interno dell'insegnamento di lettere non è facile ricavare le ore per un lavoro di questo tipo.
Grazie per il contributo: veramente utile! Grazie anche a "fare legna" per le importanti riflessioni :-)
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