In attesa di parlare dei test Invalsi disintossichiamoci con un po' di cultura…
«Tutte le storie incominciano con “C'era una volta”. E la nostra storia vuole raccontare proprio questo: che cosa c'era una volta.», scrive il grande storico dell'arte Ernst H. Gombrich rivolgendosi ai ragazzi in apertura del suo libro Una breve storia del mondo per giovani lettori, pubblicato per la prima volta nel 1936 a Vienna. Egli spiega loro che i “c'era una volta” non finiscono mai, per cui “c'è da farsi venire le vertigini”, e lo fa usando un linguaggio semplice e incisivo: "Hai provato a stare tra due specchi? Dovresti farlo! Vedrai tantissimi specchi uno dietro l'altro, sempre più piccoli e lontani, all'infinito". È la stessa riflessione di Thomas Mann che come ricorderanno i lettori di Pensare in matematica ci ha ispirati nelle prime pagine del nostro libro, suggerita attraverso un'immagine meno solenne di quelle bellissime usate da Mann (il pozzo, le dune lungo il mare), ma efficace per disporre i più giovani a pensare facendo, come è loro naturale: afferrare subito lo specchio e lasciare andare la mente. Gombrich li invita da subito a non smarrirsi in questo infinito, ma a confidare nel fatto che possiamo sapere: “Una volta eri piccolo... portavi i pannolini, ma di quello non ti puoi ricordare. Però sai che è così".
«Tutte le storie incominciano con “C'era una volta”. E la nostra storia vuole raccontare proprio questo: che cosa c'era una volta.», scrive il grande storico dell'arte Ernst H. Gombrich rivolgendosi ai ragazzi in apertura del suo libro Una breve storia del mondo per giovani lettori, pubblicato per la prima volta nel 1936 a Vienna. Egli spiega loro che i “c'era una volta” non finiscono mai, per cui “c'è da farsi venire le vertigini”, e lo fa usando un linguaggio semplice e incisivo: "Hai provato a stare tra due specchi? Dovresti farlo! Vedrai tantissimi specchi uno dietro l'altro, sempre più piccoli e lontani, all'infinito". È la stessa riflessione di Thomas Mann che come ricorderanno i lettori di Pensare in matematica ci ha ispirati nelle prime pagine del nostro libro, suggerita attraverso un'immagine meno solenne di quelle bellissime usate da Mann (il pozzo, le dune lungo il mare), ma efficace per disporre i più giovani a pensare facendo, come è loro naturale: afferrare subito lo specchio e lasciare andare la mente. Gombrich li invita da subito a non smarrirsi in questo infinito, ma a confidare nel fatto che possiamo sapere: “Una volta eri piccolo... portavi i pannolini, ma di quello non ti puoi ricordare. Però sai che è così".
Questo libro,
pubblicato a Vienna, tradotto in molte lingue e continuamente ristampato (in
italiano l'edizione del 2004, con una prefazione della nipote Leonie, è edito da
Salani con il titolo Breve storia del mondo), è l'unico
scritto da Gombrich in tedesco. Egli lo compose in tempi da record perché in
quei tempi di crisi era un giovane laureato disoccupato ... (la sua tesa di
laurea era uno studio sul Palazzo Te di Mantova). Subito dopo egli si trasferì
in Inghilterra. Gombrich raggiunse grande celebrità storia dell'arte, ma in lui
rimase vivo l'interesse per far
conoscere a tutti le ricerche degli studiosi, come mostra un'altro libro
stupendo, la Storia dell'arte raccontata
da E. Gombrich. Quest'ultimo si rivolge però ai giovani, mentre Breve storia del mondo inizia addirittura
parlando di "pannolini" (anche se ogni lettore adulto lo leggerà con
piacere).
In quel periodo
per la verità l'idea che a un bambino o una bambina si può spiegare quasi tutto
con parole semplici era condivisa da molti, e in più paesi vi erano persone alla
ricerca di quelle parole semplici per spiegare ai piccoli la storia, la
scienza, la matematica, magari senza formalizzarsi troppo, rischiando quale
imprecisione ma lasciando volare l'immaginazione e proponendo quadri di insieme:
nascevano così collane dal titolo "Scienza per bambini" oppure
"L'iniziazione scientifica". Non si trattava di sostituirsi ai
manuali scolastici, come lo stesso Gombrich ha scritto; piuttosto di svegliare
la curiosità e il gusto di apprendere («prometto che alla fine non vi interrogherò»,
scrisse Gombrich).
Breve storia del mondo non ha perso con
gli anni niente della sua vivacità, derivata anche dal fatto che è un dialogo
diretto tra l'autore e il lettore. La sua lettura risulterà di ispirazione ad
ogni insegnante e a ogni genitore nel trovare le parole giuste per iniziare a
proporre i bambini le “tracce del passato” che gli storici aiutano a ritrovare
nel presente. Questo si può fare fin dalle classi prima e seconda (come
dimostra d'altra parte l'interesse enorme dei bambini per i racconti sulla
storia dei numeri, che è molto utile per iniziarli al calcolo). Si spreca
l'apertura mentale dei bambini di 6-7 anni se li si abbandona, come si fa
ancora oggi in Italia, a noiose e astratte spiegazioni sugli avverbi di tempo
(prima, dopo, contemporaneamente ....) o allo studio dell'orologio (l'orologio
riguarda la tecnica, e la fisica e la matematica, non la storia!); per non dire
dei ricordi sulla propria famiglia su cui ci si sofferma tanto, che possono sì servire
a riflettere su come l'uomo sente l'esigenza di raccontare e tramandare la
memoria del passato, ma non introducono affatto alla storia come disciplina. Il
modo giusto di dare i primi passi è sentir raccontare cose, fatti, scoperte del
passato che la ricerca storica ci svela, con un linguaggio semplice; per poi avviarsi
verso un pensiero critico, nelle ultime classi (dalla terza alla quinta) quando
si comprenderà che ogni storico deve ricorrere a delle fonti, che interpreta
tali fonti sulla base di argomentazioni che però possono essere contraddette, e
allora il libro di Gombrich si potrà gustare leggendone anche singoli capitoli.
Gombrich inizia
dal pannolino, e dalle vite dei genitori e dei nonni, ma poi entra subito in
materia con “i più grandi inventori”, l'umanità preistorica. Nel suo racconto
si appoggia con grande intuito su ciò che i bambini sanno, spingendo la loro
fantasia, ma senza evitare i punti dolorosi: come nel capitolo sui cavalieri
(«Degli antichi cavalieri avrai certo già sentito parlare...») che conclude
parlando molto seriamente delle crociate. Il libro è incentrato sull'Europa ma con un capitolo
sull'India e due sulla Cina, forse poco nell'insieme dell'opera ma comunque un
tentativo pionieristico di aprirsi a una "world history" di cui
l'esigenza è molto più diffusa oggi che nella scuola europea degli anni Trenta.
Gombrich è anche originale nel dare spazio alla storia della scienza e della
tecnica, mentre a scuola la scienza continua a essere proposta come una entità
monolitica e senza storia. Entrambi questi aspetti mostrano che egli aveva
compreso, da giovane ricercatore, che il mondo che aspettava i bambini sarebbe
stato contrassegnato dal ruolo del sapere e dalla convivenza o rivalità fra
ambiti culturali con proprie peculiarità in ogni punto del globo.
La matematica è
quindi presente nel libro di Gombrich, e vogliamo ricordare due passi molto
belli. La storia più remota dei simboli numerici era allora scarsamente
conosciuta negli anni Trenta, ma egli racconta invece delle cifre indiane usate
dagli arabi:
«Più ancora che
dai persiani, gli arabi impararono dai greci che abitavano le città conquistate
nell'impero romano d'Oriente. Presto infatti smisero di bruciare i libri, e
anzi si misero a raccoglierli e a leggerli. Leggevano volentieri soprattutto
gli scritti di Aristotele, il grande maestro di Alessandro Magno, che
tradussero in arabo. Da lui impararono a occuparsi di tutte le cose della
natura e a ricercare le cause di tutte le cose. Una attività che praticarono
poi volentieri e con solerzia. Molti nome delle scienze che prima o poi
incontrerai a scuola vengono dall'arabo, come la "chimica” o l'“algebra”.
Il libro che tieni in mano in questo istante è fatto di carta. Anche questa è
una cosa che dobbiamo agli arabi, che a loro volta l'avevano imparato da
prigionieri di guerra cinesi.
Ma per due cose
soprattutto io sono grato agli arabi. Una sono le straordinarie favole della
loro tradizione orale e scritta che puoi leggere nelle Mille e una notte. La
seconda cosa è forse più favolosa delle favole stesse, anche se a tutta prima
non ti sembrerà così.»
Egli spiega il
valore posizionale delle cifre e chiede: «Tu ci saresti riuscito a fare
un'invenzione così comoda?»
Più favolosa
delle favole stesse... addirittura magia, come scrive più avanti, parlando
dell'età moderna:
“La cosa più
strana è che in quello stesso periodo in cui il popolo era così superstizioso
[si riferisce alla caccia alle streghe] c'erano alcuni che non avevano
dimenticato il pensiero di Leonardo e degli altri grandi fiorentini, che
continuarono a tenere gli occhi aperti e a riconoscere il mondo per quello che
è realmente. Furono costoro a trovare la vera magia, quella grazie alla quale si
può sapere ciò che è stato e ciò che sarà, grazie alla quale si riesce a
stabilire di che materia è composta una stella che è lontana da noi miliardi di
chilometri, o grazie alla quale si può prevedere con precisione quando si
verificherà un'eclissi di sole e in quali luoghi della Terra sarà visibile.
Questa magia
era la matematica. Non che quelle persone l'avessero inventata, dal momento che
i mercanti aveva sempre saputo far di conto, però loro si accorsero sempre più
chiaramente di quanto in natura si lascia individuare da leggi matematiche. Di
come un pendolo lungo 98 centimetri e 1 millimetro ci impiega esattamente un
secondo per compiere un'oscillazione, e da che cosa dipende questo fenomeno. Si
trattava di quelle che vennero chiamate le “leggi della natura”. Già Leonardo
da Vinci aveva affermato che “la natura non rompe la sua legge”, e ora si seppe
con certezza che ogni fenomeno naturale, che sia stato misurato e descritto con
precisione una volta, si ripete sempre allo stesso modo, e non può fare
altrimenti. era una scoperta inaudita e una magia ben più grande di tutte
quelle imputate alle streghe. Ora infatti l'intera natura, le stelle e le gocce
d'acqua, la caduta di una pietra e il vibrare della corda di un violino non
erano più un caos folle e inspiegabile capace solo di impaurire gli uomini. Chi
conosceva la formula matematica giusta possedeva la formula magica di ogni
cosa. E alla corda di violino poteva dire: “Se vuoi suonare un la, devi essere
lunga così, tesa così, e oscillare in qua e in là 435 volte al secondo”. E la
corda lo fa.
Il primo a
scoprire l'inaudito potere magico che si nasconde nella misurazione della
natura fu un italiano: Galileo Galilei.»
(Ana Millán
Gasca)
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