L’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder o
sindrome del bambino agitato) fa parte oggi della vita quotidiana delle scuole.
È una delle “etichette” dei bambini “certificati”, bambini che sicuramente
hanno delle difficoltà (di concentrazione, di attenzione e ascolto, di
condotta) nel partecipare alla vita scolastica, ma che a causa della tendenza
alla medicalizzazione si portano addosso etichette che, come sanno tanti
insegnanti, sono parte del problema di questi bambini più che della soluzione
delle loro difficoltà. Vi sono a livello internazionale molte persone che si
oppongono alla sindrome ADHD e all’enorme giro di affari che si è innestato
attorno a questa “malattia”, con l’introduzione di un sedativo, il Ritalin:
l’idea di fondo è che nella loro crescita i bambini si confrontano spesso con
difficoltà, nell’apprendere, nell’avere rapporti con i pari e con gli adulti,
nella conquista di un’autonomia e libertà che è anche autocontrollo e
responsabilità, ma che queste difficoltà sono proprio la materia
dell’educazione, sono responsabilità di genitori, maestri, istruttori di sport e
tempo libero, ognuno con gli strumenti che una lunga tradizione ha messo a
disposizione. Proprio quando le scienze dell’educazione hanno raggiunto tanti
traguardi e la conoscenza del mondo infantile è tanto progredita dobbiamo
arrenderci?
Una
conferma in tal senso viene da un protagonista, il celebre studioso
statunitense, Leon Eisenberg (1922-2009), che nel 2007 pubblicò un articolo sull’evoluzione che ha portato alla “nascita” dell’ADHD, nel quale – sotto
una retorica autocelebrativa – è evidente una notevole preoccupazione per la
situazione attuale. Nel febbraio del 2012, in un articolo pubblicato sul
settimanale tedesco «Der Spiegel», il giornalista scientifico Jörg von Blech,
autore del saggio “Inventing disease and pushing pills: Pharmaceutical
companies and the medicalisation of normal life“ (pubblicato nel 2003 in
tedesco, ora disponibile in inglese da Routledge, 2006) ha scritto che nel 2009, sette mesi prima
della morte, in una intervista nella sua casa, Eisenberg affermò che l’ADHD
è una “fabrizierte Erkrankung”, e che la
predisposizione genetica all’AHDH è completamente sopravvalutata. Von Blech
riporta che Eisenberg affermò che lo psichiatra infantile deve indagare più a
fondo le ragioni psicosociali che possono portare a ciò che si osserva nel
comportamento di un bambino, e fra tutte riferendosi ai problemi in famiglia (i
rapporti fra i genitori o le incomprensioni fra bambino e genitori); e osservò anche che questa indagine richiede però molto tempo (e, potremmo aggiungere noi, buonsenso, competenza e intelligenza da parte di medici
ed educatori) mentre prescrivere una pillola è molto veloce! Queste
informazioni circolano in rete, a volte in ondate e a volte in traduzioni di
traduzioni, come un movimento di resistenza sotterraneo, ma vi sono state anche
dichiarazioni istituzionali, come quella della Commissione nazionale di etica
per la medicina (NEK-CNE) svizzera che in un parere del 2011 ha sottolineato che (citiamo) l’«enhancement farmacologico può causare una limitazione
della libertà, dei diritti della personalità e dello sviluppo della
personalità. I genitori, le strutture scolastiche e gli altri tutori hanno a
questo proposito una responsabilità particolare, sia nei confronti del singolo
bambino sia nei confronti dei valori e dei criteri futuri della nostra società.
La Commissione chiede di verificare la prassi attuale in materia di
prescrizione di psicofarmaci ai bambini, nonché di chiarire le cause
dell’incremento del consumo e di proteggere i bambini da un consumo eccessivo».
Forse
possiamo sperare che si cominci a diffondere un’ondata di buon senso attorno a
questo ennesimo caso di medicalizzazione estrema di ogni aspetto
dell’esistenza. Ma la tendenza attuale è di eliminare qualsiasi fattore
sociale, culturale, psicologico, affettivo, emotivo, riducendo tutto a fattori
materiali, fisici. Quindi anche l’educazione e l’istruzione diventano un fatto
medico, di competenza di psichiatri e psicologi – beninteso di scuola
rigorosamente materialista.
Una
situazione analoga riguarda i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento).
Come
nel caso dell’ADHD, la letteratura sulle basi biologiche di questo insieme di
disturbi fa girare la testa: si avanza di tutto e il contrario di tutto - basi
genetiche, differenze neurologiche, identificate in tal modo o tal altro.
Nessuno sa niente di preciso, ma troppi si gonfiano la bocca con paroloni senza
sapere di cosa stiano parlando.
Di
certo, quel che è chiaro è che trattasi di una buona materia per far affari, certo non
sostanziosi come la vendita del Ritalin e le visite connesse, ma comunque di affari interessanti: diagnosi, terapie, supporti informatici,
libri, materiali vari.
Il
fatto gravissimo è che la materia – difficoltà matematiche, difficoltà di
scrittura, ecc. – viene sottratta agli insegnanti per essere delegata a
specialisti che spesso non hanno alcuna competenza in materia. Nel caso che a
noi interessa in particolare – la discalculia – la cosa è particolarmente
grave, perché chi si occupa di problemi di apprendimento della matematica
dovrebbe avere una solida conoscenza di quest’ultima, dovrebbe sapere di cosa
si sta parlando.
Invece,
se ne sentono di tutte: per esempio che la matematica è una scienza
“procedurale” e che le tavole pitagoriche sono un insieme ordinato di parole da
memorizzare come tale. Molti dei disturbi di discalculia sono semplicemente
inesistenti, come quelli derivanti da problemi di incolonnamento che sono
banalmente riconducibili al fatto che alle primarie non s’insegna più a
incolonnare (cosa che prima derivava dal tracciamento di aste e tondi). Molti
altri esempi si potrebbero fare, e li faremo in seguito.
Ma
c’è qualcosa di più grave. Che dire se uno “specialista” (uno psicologo, nella
fattispecie) ti interpella con supponenza, parlando dei suoi successi nell’aver
“curato” difficoltà di apprendimento «della matematica E dell’algebra”? Costui
crede che l’algebra sia una cosa distinta dalla matematica. E lo dice senza
vergogna. Cosa capiterebbe se andassimo a parlare a un chimico di “chimica e
chimica organica”, o a un fisico di “fisica e di fisica delle particelle”, come
cose distinte? Un buon cappello d’asino sarebbe appropriato. Invece qui, chi
parla così ha in mano il bastone di comando e tiene in pugno la sorte dei
bambini.
C’è
ancora di peggio. Ad esempio, ci informano di un un “Corso Intensivo di Tecniche di
apprendimento facilitanti per il superamento della discalculia” che si occupa
anche dei Bes (Bisogni Educativi Speciali) promosso da un certo Istituto
Nazionale di Pedagogia Familiare (Inpef). È un corso destinato a docenti di
matematica delle scuole di ogni ordine e grado, educatori, tirocinanti,
studenti universitari, logopedisti, insegnanti di sostegno, psicologi, e chi
più ne ha più ne metta. Al costo di 230 euro + Iva rilascia un certificato di
competenze. Direte che tanto non conta nulla. Eh, no, perché questo ente è
accreditato presso l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio e il Corso è
autorizzato dal medesimo USR con D.D. n. 220.
Sarebbe
interessante soffermarsi sul programma del Corso, che è scritto in un
linguaggio ridicolo (l’anticamera del calcolo aritmetico sarebbero l’insieme
unione, l’insieme differenza e la ripartizione (?). Ma anche qui il peggio è
sufficiente a tagliar corto sul resto. Nel
capitolo dedicato all’aritmetica “speciale” (?) si parla degli insiemi: «Gli insiemi:
l’insieme vuoto, pieno…».
Davvero?
Veniamo a sapere una novità sconvolgente: è nato il concetto di insieme pieno!…
Poco dopo, alla voce geometria, si parla di “poligono e non poligono”… E cosa
mai sarebbe il “non-poligono”?
L’autore
deve essere uno che ha letto troppo Heidegger.
Scherzi
a parte, qui c’è davvero poco da scherzare.
Con
l’autorizzazione di una USR si incamerano quattrini per formare persone che
andranno a “curare” dei poveri bambini diagnosticati di DSA, opportunamente
formate sui concetti di “insieme pieno” e di “non poligono”. Si accredita un
ente che, nel proporre questo “corso” dichiara che «la matematica è un GIOCO [sic]
e può essere appresa da chiunque».
Salvare
la scuola italiana significa anche – non soltanto, ma anche – cacciare fuori
dal tempio la congrega di ciarlatani affaristi che si sta precipitando sul tema
delle malattie da apprendimento come mosche sul miele.
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