Sembra quasi, ultimamente, che l'alternanza
scuola-lavoro sia una grande novità che guarda al futuro e dovrebbe scuotere
dal suo torpore una scuola cattiva o quanto meno vecchia e non al passo con i
tempi. La scuola dovrebbe così modellarsi e trasformarsi in funzione delle esigenze
odierne del lavoro; tutt'al più con qualche spennellata di storia dell'arte e
di musica. L'Europa ammonisce, poi: orientare la scuola al lavoro.
In realtà ci spacciano
veramente roba vecchia... In un bel saggio pubblicato nel 1957, L'educazione in Europa 1400-1600,
Eugenio Garin, ricordava un accurato catalogo di mestieri risalente ai primi
del Quattrocento scritto dal cardinale Giovanni Dominici (Giovanni di Domenico
Banchini, Firenze 1356/57-Buda 1419)
http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-di-domenico-banchini_(Dizionario-Biografico)/
a proposito della scelta della professione dei figli:
«richiedesi
appresso alla comunità universale diversi esercizi, come zappatori, legnaiuoli,
muratori, intagliatori, dipintori, sartori, armaioli, tessitori, lanaiuoli,
cambiatori, setaiuoli, mercatanti e mille tali differenze di maestranza. Siano
esaminate le inclinazioni i fanciulli, e quelle seguitando, si viene a qualche
profitto [...] Disposto a essere lanaiuolo non sarà buon barbiere, [...]
spezial di natura, male imparerà a ferrare cavagli [...] Da il provvido Signore
del tutto a ciascuno l'ufficio proprio»
Dominici si opponeva a gli
umanisti, come Coluccio Salutati (1331-1406) e altri dopo di lui (si pensi a
Leon Battista Alberti, uomo poliedrico e cultore di matematiche), che
difendevano lo studio della poesia e della cultura classica:
“Chi è inclinato a
intagliare,[...] non sarà assiduo allo studio”
Questo elenco dettagliato ci ricorda certi rapporti sulla scuola che con tanti quattrini vengono pubblicati oggi da alcuni privati (invece di usare i soldi per finanziare laboratori scientifici e palestre) perché nonostante la distanza nel tempo il discorso di fondo rimane lo stesso. Oggi si cerca di influenzare le scelte pubbliche, ma persiste
anche il bersaglio che aveva il cardinale: le famiglie che si inquietano per il
futuro dei figli, adesso come settecento anni fa.
Garin ne parla nel suo libro –
scritto proprio per ampliare gli orizzonte delle discussioni degli anni
Cinquanta in Italia sulla riforma della scuola – per far comprendere la forza dirompente
del nuovo tipo di educazione "liberale" concepita dagli umanisti;
Garin notava che Amintore Fanfani, nella sua opera Le origini dello spirito capitalistico in Italia (1933) aveva
sottolineato il "valore pedagogico" e la novità di Dominici, salvo
poi riconoscere che in realtà vi erano sotto pensieri antichi e un antico
scopo: mantenere l'ordine stabilito. Gli umanisti, come ricorda Garin,
cercavano “non di condizionare l'allievo, e di addestrarlo in una tecnica, ma
di prepararlo alla vita: a esercitare, non questo o quell'ufficio –e magari
alto ufficio – ma un solo ufficio, un solo mestiere, il mestiere di uomo”.
Per il cardinale Dominici le “lettere
umane” erano tentazione del demonio e principio di ogni perversione, certo,
soprattutto per via della minaccia che incombeva sulla saldezza dei dogmi
religiosi se si formava l'allievo sui classici, sviluppando il senso critico e
la chiarezza del ragionamento. Nei discorsi di molti che vorrebbero oggi scardinare
i "contenuti" tradizionali e “inutili” della scuola, non vi sono
ovviamente scopi di purezza religiosa, ma si riconosce, sotto la facciata di “expertise"
e le tabelle e statistiche, lo stesso tentativo di mantenere le menti
"sotto controllo". Le povere materie letterarie sono quindi spacciate,
soprattutto la storia, per non dire della filosofia, tutt'al più si può pensare
a qualche materia di "Trattamento di testi"; le materie scientifiche,
e in particolare la matematica (e l'informatica) dovrebbero invece dominare nei
contenuti.
La diatriba tra la scuola
delle “parole” (intese nel senso peggiore, come qualcosa di fumoso e mancante
di concretezza) e la scuola delle "cose", delle cose
"reali" (in tedesco esiste proprio l'espressione "scuola
reale") non è nuova nemmeno essa: gli umanisti si videro fare da parte dai
"moderni", nel Seicento, lo stesso rimprovero che essi avevano rivolto
all'insegnamento medievale, come mostra Garin.
Ma questa tensione virtuosa ha
contribuito a dar spazio nella cultura europea alle materie scientifiche e a
non soccombere a un insegnamento pedante di regole e regolette e nozioni a
memoria, un rischio sempre effettivamente presente, ma non soltanto studiando
la grammatica, ma anche la matematica. Ma attenzione!: la matematica era parte
integrante delle humanitas, come
porta della filosofia che si pone problemi sul mondo e cerca la conoscenza
(altro che "problem solving"!), e quindi formazione dell'uomo; mentre
quello che oggi si prospetta è l'addestramento tecnico, non di lanaiuoli e
mercatanti, ma degli equivalenti attuali, che devono sapere calcolare e usare
il computer e altre macchine, eseguendo con diligenza la loro parte nel grande
ingranaggio sociale.
Un vero incubo.
(Ana MIllán Gasca)
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