Il racconto di un'insegnante:
Nella mia lunga carriera scolastica mi sono sempre chiesta
chi inventasse i testi dei problemi di matematica.
«Tutte scemenze,
continuò a brontolare Roberto. Un modo da deficienti per passare il tempo».
Penso che questa frase, tratta dal libro Il mago dei numeri di H. M.
Enzensberger, riferita a un noioso problema di matematica, esprima bene le
emozioni che spesso i bambini provano di fronte a un problema di matematica,
con il risultato, spesso drammatico, di sentire la materia come qualcosa di
fastidioso, lontano, nauseante.
Ho un grande amore per le storie, e ho potuto verificare in
14 anni di insegnamento, che i bambini di tutte le età amano molto sentirsi
raccontare delle storie, potersi tuffare in esse, far parte di esse. Seguendo
questa mia inclinazione ho pensato di tradurre in maniera diversa un problema
matematico del quale abbiamo parlato nel corso di Matematica e didattica della
matematica, che risale al III secolo a. C. e ritrovato dagli studiosi del
Vicino Oriente Antico, e l’ho proposto in due classi dove insegno religione,
una terza e una quinta della scuola primaria. Vi vorrei raccontare com’è
andata.
L’enunciato del testo originale è questo: “Lunghezza e
larghezza accumulata: 14, e 48 la superficie. Il nome non lo so” (A. Millán
Gasca, All’inizio fu lo scriba, Milano,
Mimesis, 2004)
Questa la mia versione:
«Il saggio re di un antico regno, conscio della minaccia di
un imminente attacco nemico, chiamò i suoi due figli e disse loro: “Figli, il
pericolo ci minaccia, abbiamo trenta giorni per fortificare il nostro regno per
difenderlo dall’attacco dei nemici. Non conosco le dimensioni del nostro regno,
ma so che addizionando la larghezza e la lunghezza del regno ottengo 14 km;
moltiplicandole ottengo 48 km2 (nella classe terza non ho usato le
unità). Costruite al più presto le mura, ma attenzione! Calcolate con
precisione la lunghezza e la larghezza del regno per non invadere i regni
vicini rischiando così di perdere importanti alleanze!»
Pensate che, nella classe terza, i bambini abbiano intuito
immediatamente quale fosse la pista da seguire per trovare la soluzione: hanno
avuto una reazione molto spontanea, per tentativi, dopo aver pensato a un
rettangolo come possibile forma dell’antico regno (in effetti non avevo detto
niente al riguardo, come nel testo della Mesopotamia al quale mi ero ispirata).
Invece nella classe quinta, “inquinata” (passatemi il
termine! da tante sovrastrutture), i bambini non sono stati in grado di
elaborare una semplice soluzione, alcuni erano interdetti e non sapevano cosa
provare a fare, altri hanno fatto ipotesi molto complicate di “moltiplicazioni
che sono l’inverso di divisioni…”, di formule per trovare le aree… Ho dovuto
leggere loro un seguito del problema, che mi ero preparata per instradarli
verso la soluzione:
«I due figli, che erano molto intelligenti, pensarono che
l’unico modo per sapere l’esatta misura della lunghezza e della larghezza del
regno, fosse di trovare tutti i numeri il cui prodotto è 48 e tutti i numeri la
cui somma è 14 e vedere gli elementi comuni a queste due famiglie».
A questo
punto la soluzione è stata trovata. Forse avrei potuto fare altre domande,
proporre di fare un disegno e di formulare qualche valore possibile … ma pur
avendo previsto un seguito della storia pensando che i bambini sarebbero stati
perplessi di fronte a un compito un po’ diverso dal solito, mi ha spiazzato il
fatto che le difficoltà le avessero i bambini più grandi!
Penso che comunque il mio scopo sia stato raggiunto.
Infatti, in entrambi le classi i bambini si sono appassionati all’idea di
affrontare un’avventura e non un noioso problema, dando fondo a tutte le loro
capacità per aiutare i figli del re a non perdere l’inevitabile guerra! E alla
fine mi hanno chiesto: maestra, verrai tu altre volte a fare matematica?
Interessante sapere che già al quinto anno di scuola faticano a risolvere problemi "veri". Questa incapacità di riconoscere gli argomenti studiati in un problema "reale" è un problema annoso su cui i miei colleghi e io (liceo scientifico) ci interroghiamo continuamente senza venirne a capo.
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