giovedì 30 maggio 2013

Parliamo dei test Invalsi di matematica per la Scuola Secondaria di primo grado


La linea ufficiale dell’Invalsi è: noi misuriamo le competenze e non le conoscenze, perché è impossibile misurare le seconde, mentre è possibile misurare le prime. La nostra obiezione è che per misurare qualcosa bisogna disporne di una definizione sufficientemente chiara sul piano operativo per poter effettuare una misurazione. Difatti, per poter misurare le competenze si è tentato in tutti i modi di darne una definizione chiara e operativa.
Non abbiamo mai detto che non esista una definizione di competenza – questa accusa che è stata mossa è infondata. Anzi, sappiamo che ne sono state date a centinaia, per esempio nell’ambito della supercommissione mondiale formatasi in Svizzera alla fine del millennio scorso che non è riuscita a pervenire a una definizione condivisa. Gli specialisti in materia ammettono che con alcune definizioni molto deboli si può forse misurare qualcosa con test ma, se intervengono aspetti motivazionali, non si misura un bel niente.
Per noi, fedeli ai paradigmi scientifici, qualcosa che non possiede unità di misura non si può misurare. Punto. Ogni giorno vengono usati migliaia di numeri a scopo valutativo senza che questo significhi assolutamente misurare alcunché.
Ma lasciamo perdere questa tematica, che peraltro è tutto fuor che accademica o teorica per la quale rinviamo a un precedente dibattito.
Sappiamo anche che esiste una definizione ufficiale della Comunità europea: le competenze sarebbero «la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale». Batta un colpo chi è capace di dire qual è l’unità di misura di una simile fumisteria in termini di test.
Comunque, noi pensiamo che i test possano servire, non siano inutili per verificare l’acquisizione di conoscenze elementari: per esempio, ortografiche, grammaticali, sintattiche, il possesso di nozioni basilari dell’aritmetica o della geometria. Per quanto riguarda le competenze (accettando quella definizione buro-fumosa) è ben vero che se si pone a uno studente una domanda la cui risposta richiede il ricorso a conoscenze, abilità etc., può sembrare ragionevole ammettere ttere che una risposta corretta indichi la presenza di tale capacità, o competenza.
Apparentemente sì. In realtà sfugge quasi tutto, proprio per il carattere di quiz del test. 
Proviamo a constatarlo sui test della Prova nazionale di matematica per la Scuola secondaria di I grado. Alcuni di questi sono molto elementari e possono pure essere considerati accettabili, come D1, D7, D8, D14, D18 (peraltro mal formulato), D19 per verificare “competenze” che in alcuni casi si potrebbero anche avere alle primarie.
Vediamo ora esempi di Test francamente discutibili.

Test D2. – Non va bene per niente. Come è pervenuto lo studente alla risposta? Non c’è modo di saperlo. Potrebbe aver chiaro il modo in cui si scrive in generale un numero dispari e addirittura ricavare conclusioni generali anche circa il caso di numeri non consecutivi, o semplicemente aver scritto il caso generale di numeri consecutivi. Potrebbe aver fatto alcune prove senza rendersi conto che la verifica di un numero finito di casi non prova nulla ed essere arrivato alla conclusione sulla base di una sostanziale “incompetenza”. Ma sarebbe anche impietoso e ingiusto pensare che, a quel livello di età, si possieda un’idea chiara di cosa sia una dimostrazione matematica generale. È proprio certo che la matematica debba essere appresa con un approccio rigorosamente logicista? Un ragazzo “intuitivo” potrebbe essere messo in crisi da un quesito simile senza per questo essere negato per la matematica. Ecco un esempio di un problema interessante se discusso in classe con l’insegnante, esplorando il senso delle risposte dei singoli studenti.

Test D3. – Ecco un esempio di un test in cui il sadismo prevale a costo di far fare la figura di incompetente a chi lo ha preparato. Il test è abbastanza difficile, forse troppo difficile per lo studente medio di queste classi. Ma, per renderlo più difficile si rappresenta lo stesso oggetto – la crescita nel tempo di uno stipendio – in due modi diversi. Difatti, nel primo caso si ricorre a una tabella di numeri che avrebbe come corrispettivo grafico un istogramma, perché la crescita non è continua, ma avviene a salti: lo stipendio cresce di 1500 euro l’anno (all’inizio dell’anno, ovviamente). Nel secondo caso, invece si usa un tracciato “ambiguo”, insensato, che nessuna persona “competente” mai farebbe: né continuo, né discreto, che da un lato suggerisce una crescita continua, come se lo stipendio aumentasse giorno per giorno (o minuto per minuto...), difatti è difficile decifrare quale aumento abbia avuto in B al 3° anno... Dall’altro, con quel tratteggiato si suggerisce obliquamente che continuo non è... Nessun aumento reale di stipendio può essere  rappresentato da una curva simile!!.. Quale competenza si potrà mai verificare disseminando un test di simili sciocchi trabocchetti? Diciamo che chi l’ha fatto andrebbe semplicemente bocciato.

Test D6. – Questo è il test incriminato su cui Mathesis ha fatto una polemica sbagliata perché non si chiede di misurare i lati, ma di fare le misure necessarie e quindi non si richiede la conoscenza della formula di Erone. A parte il fatto che la scelta di un triangolo ottusangolo posto in quel modo ha anch’essa qualcosa di lievemente sadico (il fatto di ricorrere a un’altezza esterna non è necessario, se si sceglie come base BC), ci si chiede: se lo studente lo risolvesse con la formula di Erone, dichiarandolo in b. come si valuterebbe tale modo di risoluzione? Sarebbe migliore o peggiore? Ai posteri l’ardua sentenza... Questa è roba che si discute in classe e su cui valuta la competenza dell’insegnante, che conosce l’allievo, sa come e cosa si è insegnato, ecc.

Test D9 – Questo è un test che merita la censura più severa! Ognuna di queste domande richiederebbe una motivazione precisa delle ragioni geometriche per cui si arriva a questa o quella conclusione. Non è una mica una faccenda da “occhio e croce”. E invece proprio qui non ci sono spazi in cui spiegare le ragioni delle risposte. Altro che verifica delle competenze! Qui siamo al più spudorato quizzismo, roba da Lascia e Raddoppia, con tutto il rispetto per Lascia e Raddoppia.

Test D10. – Il test è alquanto difficile (ma chi fa questi test ha mai frequentato una scuola e si rende conto di quale sia il livello medio?) e, per giunta richiede una giustificazione per la quale, se fatta bene, non saranno sufficienti tre righe... (Nota: Ma all’Invalsi non hanno un computer o un disegnatore con cui tracciare in modo decente quel grafico?!...). Lo stesso discorso vale per il Test D20: il disegno, con tutte quelle erbacce che coprono l’oggetto più importante, da misurare, mentre si da rilievo a quelle irrilevanti “cabine da spiaggia”, è concepito apposta per confondere le idee. La tanto deprecata scuola del trabocchetto...

Test D11. – Che giustificazione può mai dare lo studente? L’unica cosa che può fare è dare la definizione di probabilità classica. Cos’è? Una misurazione di conoscenze?

Test D4 e D26. – Siamo alla solita confusione tra percezione visiva e simmetrie. Ne abbiamo parlato per i test delle primarie, non insistiamo. Sappiamo che questa è una tipica confusione mentale di un certo didattichese. Un test del genere sarebbe più appropriato in un liceo artistico. Ma che cosa c’è di matematico in test del genere?


Test D5, D12, 13, 15, 17, 21, 22, 23, 24 – Sono tutti da censurare per lo stesso motivo che, in alcuni casi si presenta in forma più grave. Si richiede una risposta “secca” senza che sia chiaro come vi si è pervenuti mentre questa è la cosa più interessante e importante, soprattutto nel caso dei test geometrici. Per D23 è assolutamente inaccettabile chiedere una risposta senza sapere se si indovinato a casaccio o si è messa in opera la conoscenza giusta (quale?... lasciamo la risposta al lettore... scommettiamo che non pochi diplomati con maturità non la sanno?). Stesso discorso per D22: che teorema serve per fare quel calcolo? non è interessante saperlo o lo studente ha messo la crocetta al posto giusto per caso o magari perché ha sbirciato il foglio del vicino? I signori dell’Invalsi hanno le idee talmente confuse (meriterebbero loro una bella ripassata di cos’è la matematica) che )sempre in D.22) confondono una formula numerica (!) con un procedimento, che, a sua volta, non è un teorema... E che dire della domanda D17? Ma che senso ha non chiedere la ragione per cui questa o quella formula si “adatta” alla “descrizione” (che linguaggio casareccio!) del fatto fisico? Un bel modo di diseducare alla comprensione del complesso rapporto tra matematica e fisica al cui centro sta proprio il nodo della “giustificazione” del senso fisico della formula matematica. 

Che cosa concludere? Siamo di fronte a un conglomerato di test di cui una parte è elementare e potrebbe anche essere accettabile come verifica di capacità minime, essenziali. Altri sono difficili, mal formulati o intrisi di un deplorevole sadismo. Altri ancora sono ispirati alla più deplorevole mentalità da quiz: vediamo se spari il numero esatto o metti la crocetta giusta, come ci sei arrivato non mi interessa affatto.
Non poteva darsi una dimostrazione più chiara del carattere deteriore di queste prove. Lo studente viene sottoposto a una prova stressante, in taluni casi un po’ perversa, che non verifica niente, e rischia persino di far apparire più bravo chi lo è di meno, soltanto perché ha meno dubbi e “ci prova” in modo più spregiudicato. 
Non si era detto che non si voleva più la scuola nozionista, in cui lo studente si gioca tutta la carriera con un compito, una prova, una domanda secca, procedure di selezione che non approfondiscono le sue effettive conoscenze e capacità? Ed ecco che, al contrario, lo studente si deve giocare tutto in una roulette scandita con l’orologio.
Siamo più convinti di prima. La crescita e la valutazione dello studente si fanno in classe, nel lavoro con l’insegnante, in un dialogo approfondito, in cui il problema matematico viene posto, discusso, sondato in tutti i suoi aspetti. La valutazione ha senso soltanto in questo contesto. Molti dei test suddetti – come abbiamo osservato – potrebbero fornire materiale per lavoro di classe. Posti così seccamente non verificano niente e sono soltanto diseducativi. Tanto più se, come ormai purtroppo accade, si diffonde la pratica del “teaching to the test” e la scuola viene impegnata nella preparazione a superare questa inaccettabile poltiglia.
Lascia o raddoppia. Ma quello era un gioco televisivo, non era la scuola.

(a cura di Giorgio Israel)

venerdì 17 maggio 2013

Altri test dall'altro mondo...


Si moltiplicano le difese dell'operato dell'Invalsi con un'agitazione da cui traspare un'evidente disagio. Una di queste lunghissime difese ha come titolo una domanda retorica: "Si può migliorare la scuola senza conoscerla?". Certo che no!
Tuttavia, la caratteristica di queste difese, o autodifese, è di proporre lunghi discorsi di metodo ("La metodologia è la scienza dei nullatenenti", diceva Lucio Colletti) e di non entrare mai nel merito. Mai che si fosse vista o sentita una replica puntuale alle critiche avanzate contro certi test.
Eppure, saremo dei rozzi concreti, ma a noi sembra che tutta questa parafernalia ha senso se e soltanto se (scusate il bisticcio) i test hanno senso. Altrimenti, che valore hanno le analisi psicometriche e statistiche dei "tecnici" invalsiani? Se la materia prima non ha un fondamento serio, stanno facendo pura accademia.
Nel precedente post abbiamo riportato un articolo che critica due test di matematica per le primarie.
Ora osserviamo altri due test, sempre per la seconda primaria.
Nel primo (D9) si chiede a Luisa di dire come "vede" una costruzione dal suo punto di vista. Se questo test mira a valutare le capacità rappresentative del candidato, potrebbe anche andare, ma con la matematica ha a che fare come i classici cavoli a merenda. Sì, lo sappiamo che esiste una corrente didattica – che ha lasciato anche il segno nelle Indicazioni nazionali – che parla di "sotto"-"sopra", “davanti"-"dietro", ecc. Tematiche interessanti rispetto all'idea di spazialità empirica, ma nell'idea matematica di spazio questi concetti non hanno senso. Una figura geometrica non ha davanti, dietro, sopra, sotto, destra e sinistra: se non si fa capire questo non si introduce il bambino alla spazialità geometrica. Lo spieghiamo in dettaglio in Pensare in matematica. Perciò questa domanda è inappropriata e fuori posto.


Andiamo pure peggio con il quiz D13: qui di matematica non c'è proprio nulla, assolutamente nulla. E se c'è qualcuno che ha il coraggio di imbastire una difesa di questa buffonata, magari dicendo che tutto ciò ha a che fare con la teoria degli insiemi (non ci viene in mente altra possibile giustificazione), non perderemo un minuto a rispondere, salvo dire, parafrasando la battuta di un film: fate psicanalizzare il valutatore.




martedì 14 maggio 2013

Così i test Invalsi disorientano i bambini

Infuriano le polemiche sui test Invalsi e chi li difende usa un argomento perentorio: i critici sono insegnanti corporativi che si oppongono alla “valutazione oggettiva” per fare il comodo proprio. Vi sono persone del genere (come in ogni campo), ma molti si oppongono guardando al merito, su cui i paladini dei test sono elusivi. Proviamo a vedere su esempi cosa si sta confezionando per valutare i nostri bambini.
Un insegnante mi invia, con commenti pertinenti, due test di matematica recentemente “somministrati”. Nel test D2 si propone in modo obliquo di effettuare la sottrazione 150 – 40 attraverso il calcolo dell’altezza di una bambina. Vi sono tanti modi di proporre una sottrazione ma questo è il più bizzarro di tutti. Provate a chiedere a un bambino intelligente. La prima cosa che vi dirà – «con quella chiarezza e profondità di pensiero che solo i bambini piccoli possono avere, i bambini o i grandi filosofi il cui vigore speculativo si apparenta alla semplicità e alla forza del sentimento infantile» (V. Grossmann in “Vita e destino”) – è: dove mai si è visto un metro simile? Non solo è scomodo, ma è innaturale, perché si cresce dal basso verso l’alto. Inoltre, se proprio si vuol procedere dall’alto al basso, basta applicare alla testa della bambina un metro a striscia e stenderlo in giù. Si dirà che l’intento è di provocare un calcolo in un “modello” astratto di una situazione reale. Ma così si presuppone un concetto difficile, che è alla base del delicato rapporto tra geometria e aritmetica: che i numeri si rappresentano sulla retta in modo equivalente in un verso o nell’altro, e che la scelta del punto di origine è arbitraria. Chi ha ideato il test propone al bambino un calcolo aritmetico attraverso una situazione concreta irrealistica costruita su concetti formali non esplicitati. Chi è costui? Una persona dalle idee didatticamente confuse o un sadico, che pensa la matematica come un’enigmistica a trappole?



Nel test D19 l’approccio è rovesciato. Invece di provocare il bambino con concetti formali impliciti, ci si inchina all’immagine di un essere puramente intuitivo, incapace di astrazione. Il test vuole individuare se il bambino ha chiara l’idea di probabilità e la traduce in quella di “facile”. Commenta giustamente l’insegnante che chi ha ideato il test rivela la sua incompetenza matematica – la parola “facile” in matematica è priva di significato – e linguistica: perché mai un bambino di 7 anni dovrebbe considerare sinonimi “facile” e “probabile”? È noto che nel linguaggio comune si usa dire: «È facile che piova». Ma ciò non ha nulla a che vedere con il concetto quantitativo di probabilità che è notoriamente molto più ristretto di quelli analoghi del senso comune. Questo è un test di matematica, ma di matematica non c’è nulla, bensì una confusione che allontana dalla comprensione del concetto matematico, anche perché il disegno è sbagliato: le palline nere e bianche sono a gruppi separati, mentre una corretta valutazione di probabilità richiede che siano mescolate. Un bambino dotato della profondità di pensiero di cui si diceva, e che abbia visto in televisione che, al lotto, prima di estrarre le palline si agita l’urna, penserà che vi sia qualcosa dietro questa separazione e che la domanda contenga un trabocchetto.


Nonostante si muovano in direzioni opposte questi test hanno un tratto comune: un’idea di “bambino” preconfezionata da ideologie tecnocratiche. È un bambino astratto, visto nella pura attività di apprendimento formalizzata in queste ideologie. È un po’ come in economia l’homo oeconomicus, l’uomo considerato astrattamente nella mera funzione di produzione e scambio di merci: il puer discens, il “bambino apprendente”. Inutile dire che queste astrazioni non funzionano, né in economia né nell’insegnamento.
È con simili test che l’Invalsi pretende di conseguire una valutazione “rigorosa” e “oggettiva” degli apprendimenti in quanto ente valutatore del sistema? Ogni commento è superfluo, salvo la conferma che nulla può sostituire la funzione, educativa e valutativa, di un buon insegnante. Tante cose si possono fare in classe, anche proporre problemi a trabocchetto, ma in un processo didattico basato sul dialogo, non sottoponendo il bambino a test che generano una profonda antipatia per la matematica. E la valutazione? Certo, gli insegnanti debbono migliorare e farsi valutare. Ma a questo non servono test sui loro allievi, bensì processi di formazione e valutazione in ingresso e in servizio, costruiti (con l’ausilio di commissioni ispettive) entro la “comunità educante” (in collaborazione tra scuola e università) e non affidati al controllo incontrollato di enti burocratici di stato.

(Giorgio Israel – Il Messaggero, 13 maggio 2013)