giovedì 19 dicembre 2013

MINICORSO ALL'UNIVERSITA' ROMA TRE (14 e 15 gennaio 2014) su CALLIGRAFIA E GEOMETRIA

CALLIGRAFIA E GEOMETRIA

Nelle classi I e II tutto il lavoro matematico dei bambini a scuola sembra ruotare attorno alla scrittura dei numeri e ai primi "conti" in colonna. Una visione innovativa deve dare spazio all'intuizione geometrica e al "senso dell'ordine", andando oltre la discriminazione di poche figure.
Ad esempio, gli aspetti calligrafici dell'apprendimento della scrittura hanno come sfondo idee geometriche (uguaglianza, misura, proporzione, allineamento).
L'introduzione al pensiero simbolico, tra lettere e cifre, si può avvalere della grafica moderna, per rinnovare la tradizione e proporre ai bambini una matematica coinvolgente, nella quale "i conti tornano".

Questi temi saranno trattati in un minicorso all'Università Roma Tre il 14 e il 15 gennaio 2014.









Nel corso sarà presentato un metodo per l'apprendimento del corsivo sulla base di un modello calligrafico innovativo, sviluppato da Anna Ronchi (Associazione Calligrafica Italiana).





giovedì 12 dicembre 2013

Competenze, mercato, cultura e valutazione


Vi proponiamo l'augurio per il futuro formulato da Benedetto Vertecchi  in una intervista al «Corriere della Sera» firmata da Valentina Santarpia pubblicata il 13 dicembre scorso

 «la mia speranza è che ci sia un salto di qualità nella valutazione del sistema: quest’ossessione di parlare di competenze è una follia, perché non si può separarle dalle conoscenze. Vorrei che la scuola ritrovasse la sua autonomia e fosse in grado di esprimere una sua cultura, non quella che gli viene imposta dal mercato. È per questo che ho trovato vergognosi i dati Ocse-Pisa [si riferisce a Pisa 2012 Results: What students know and can do]: il quadro teorico da cui partono è che i Paesi devono considerare l’educazione indipendentemente dalle proprie culture, e che ciò che conta è la rapidità con cui si perseguono obiettivi dell’economia globalizzata. È come chiedere a tante persone di tutto il mondo di preparare la stessa minestra: gli unici ingredienti in comune saranno l’acqua e il sale, tutto gli altri saranno diversi in base all’offerta del mercato locale. Nella valutazione la situazione non è dissimile: dobbiamo tener conto del poco che gli studenti hanno in comune e del molto per cui differiscono. L’Invalsi finora ha sfornato dati, dati, dati. Adesso è giunto il momento che faccia un passo in avanti, abbracciando anche una capacità interpretativa»


mercoledì 4 dicembre 2013

UN COMMENTO SUI SONDAGGI OCSE-PISA

Un articolo di Giorgio Israel pubblicato su Il Messaggero del 4 dicembre 2013 seguito da un commento dettagliato di alcuni dei test di matematica proposti


I risultati del sondaggio Ocse per quel che concerne la scuola italiana possono essere così riassunti: l’Italia si colloca ancora al disotto della media dei 65 paesi esaminati, in matematica, in lettura e in scienze, ma è uno dei paesi che ha registrato i maggiori progressi soprattutto in matematica e in scienze. Il quadro mostra risultati deludenti per le regioni meridionali mentre, in alcune zone del nord-est, gli studenti sono secondi solo a quelli del Lichtenstein.
Le reazioni diffuse sono di gradita sorpresa, perché altri sondaggi recenti facevano temere il peggio. Si moltiplicano i tentativi di spiegazione ma non è affatto chiaro che cosa abbia determinato questa inversione di tendenza e quale ne sia l’autentico significato.
V’è difatti qualcosa di negativo in questo rito statistico che si ripete periodicamente e il cui effetto principale sembra essere l’anestesia dello spirito critico: piovono tabelle, grafici, istogrammi e milioni di numeri che vengono confusi con la “realtà” dimenticando non solo di interpretarli ma che la cosa più interessante di tutte è chiedersi attraverso quali strumenti (quiz, questionari) si è pervenuti a questi risultati. Stiamo adattandoci a prendere tutto per buono e a trarre conclusioni affrettate. L’attendibilità dei sondaggi Ocse-Pisa è stata già messa in discussione, per esempio dai sociologi Jörg Blasius e Victor Thiessen, che hanno messo in luce l’influsso di questionari compilati dai dirigenti scolastici in modi che apparivano confezionati in modo troppo meccanico per essere attendibili. Ma si dovrebbe andare a fondo su questioni di sostanza.
Il sondaggio Ocse-Pisa colloca i paesi sopra o sotto un livello medio che risulta dalle loro prestazioni. Queste sono l’esito di test uguali per tutti. Ciò è discutibile: la cultura universale condivisa è un sogno magnifico, ma niente più, perché le differenze nazionali esistono, eccome, ed è difficile pensare a un test che valuti sulla medesima scala uno studente cinese e uno spagnolo senza appiattire in modo indebito le loro diversità culturali e di formazione didattica. Questo può essere fatto soltanto stabilendo per decreto che cosa sia una competenza matematica, di lettura o di scienze: il che è un appiattimento poiché – malgrado la globalizzazione – neppure il modo di pensare la matematica è uguale in ogni parte del mondo. Quindi, la cosa più interessante è esplorare la concezione che ha ispirato il sondaggio Ocse e da cui derivano i test proposti. Questo è l’aspetto più oscuro della faccenda, nascosto dal diluvio dei dati. Tuttavia, il sito Ocse offre esempi di alcuni test usati, in particolare per la matematica. La loro presentazione, redatta in fumoso gergo di stile didattico-burocratico, rivela una concezione rispettabile ma altrettanto discutibile della matematica, identificata semplicisticamente con il pensiero quantitativo-numerico. È poi interessante fare i test. Uno di essi chiede di calcolare il numero di persone che entreranno in un edificio attraverso una porta rotante a velocità e capienza date, in un certo tempo. Ho indicato a colpo e per intuizione il valore più alto tra i 4 proposti. Ma la domanda voleva essere un test della capacità di mettere in gioco abilità nel modellizzare situazioni concrete. Uno studente che avesse correttamente seguito la via di costruire un modello avrebbe impiegato molto più tempo di me, forse troppo per dare la risposta; pur mostrando migliore competenza di chi ha indovinato “a naso”. A meno che non si voglia commettere l’errore capitale di premiare la velocità. Senza contare che un problema matematico non ha una sola via di soluzione: la scelta tra le tante possibili è un indizio delle capacità dello studente. Ma questo non risulta da un test a crocette. Un altro modello più difficile mirava a mettere in gioco l’abilità di modellizzare situazioni complesse: dalla descrizione delle caratteristiche di un percorso di ascensione al Monte Fuji lo studente doveva desumere il tempo limite per tornare al punto di partenza entro le 8 di sera. Anche qui si chiedeva di rispondere con una cifra, mentre sarebbe stato assai più interessare valutare l’approccio seguito, indipendentemente da un eventuale errore numerico. Ebbene, l’Italia si è attestata su un mediocre 10% di risposte esatte, davanti al misero 9% di paesi scientificamente avanzati come USA e Israele, appena dietro il 13% francese: tutti – inclusa la Germania (18%) – stracciati da percentuali asiatiche oscillanti tra il 30% e il 55%. Davvero tutto ciò dice qualcosa di decifrabile? Davvero uno studente tedesco ha capacità tanto minori di tradurre un problema in formule matematiche di uno studente di Singapore? O forse è meno abituato alla messa in opera di algoritmi ad hoc, senza per questo avere minori capacità matematiche? Secondo il rapporto Ocse gli studenti italiani sarebbero più capaci di interpretare risultati matematici che non di formulare matematicamente situazioni concrete. Ma forse la conclusione è affrettata. Una visione più concettuale della matematica (magari maturata con studi altrove trascurati) può essere momentaneamente perdente su un test che verifica l’esito di abilità calcolistiche, e alla lunga vincente anche sul piano applicativo.
Si potrebbe continuare, ma ci sembra che l’unica risposta seria alla domanda se davvero l’Italia sia nella condizione descritta è: su queste basi non è affatto chiaro. L’unica cosa chiara è che dovremmo passare a una fase più matura e adulta del problema della valutazione, affrontando – anche con analisi non numeriche – i molteplici temi che si presentano nel problema del miglioramento dell’istruzione. Fattori complessi come la capacità, l’abilità ecc. hanno una gran quantità di aspetti – culturali, sociali, specificamente nazionali o regionali, psicologici, ecc. – che non si prestano al giochetto fallace da mago dei numeri di appiattirli su una scala unidimensionale. Nessuno può negare l’utilità dei test, a livelli minimali, ma credere che in tal modo si possa rappresentare la realtà mondiale dell’istruzione è regredire a una visione mistica in cui le percentuali assumono valore di per sé senza che neppure ci si chieda da dove nascano.

(Il Messaggero, 4 dicembre 2013)


Esaminiamo di seguito, in dettaglio, alcuni dei test OCSE-PISA di matematica per rendersi conto della loro qualità, del loro significato e per conoscere il significato che viene loro attribuito dall’ente.

Test di livello 3:


Il test è un semplice esercizio volto ad accertare la comprensione della rappresentazione dei numeri in forma decimale e del loro ordinamento. La risposta è chiaramente D. L’Italia si è attestata su un dignitoso 51%, davanti al 48% degli USA ma lontano dall’89% di Shangai-Cina.
Ma sentite come viene presentato questo test da Ocse-Pisa:

Livello della domanda
Al livello 3 gli studenti possono eseguire chiaramente le procedure descritte, incluse quelle che descrivono decisioni sequenziali. Possono selezionare e applicare semplici strategie di problem solving. A questo livello gli studenti possono interpretare e usare rappresentazioni basate su differenti fonti d’informazione e ragionare direttamente a partire da esse. Possono sviluppare brevi comunicazioni che riportano le loro interpretazioni, i loro risultati e ragionamenti.

Categoria della domanda
Questo item appartiene alla categoria quantità. La nozione di quantità può essere l’aspetto matematico più pervasivo ed essenziale nell’aver a che fare col nostro mondo e che in esso funziona. Incorpora la quantificazione degli attributi di oggetti, relazioni, situazioni ed entità nel mondo, la comprensione di varie rappresentazioni di queste quantificazioni, e il giudizio delle interpretazioni e degli argomenti basati sulle quantità. Aver a che fare con la quantificazione del mondo comporta la comprensione delle misure, conteggi, grandezze, unità, indicatori, dimensioni relative, e tendenze e patterns numerici. Gli aspetti del ragionamento quantitativo – come il senso del numero, le molteplici rappresentazioni dei numeri, l’eleganza nella computazione, il calcolo mentale, la stima e la valutazione della ragionevolezza dei risultati – sono l’essenza della “literacy” matematica relativa alla quantità.


C’è da strabuzzare gli occhi. Se il redattore ha voluto dar mostra delle sue competenze non è riuscito altro che a esibire la retorica vacua delle persone di scarsa cultura e che nascondono la loro confusione mentale dietro un fraseggiare roboante.
Tutto questo dietro un banale esercizio di ordinamento dei numeri scritti in forma decimale? Ma per favore, non rendiamoci ridicoli…

Passiamo a:

Test di livello 4:



La risposta corretta è D. Il livello di difficoltà è maggiore, bisogna fare qualche calcolo e, soprattutto, occorrerebbe – più che indovinare il risultato esatto, che una stima a occhio fa intuire essere D – spiegare il modo con cui si è formalizzato il problema e si è pervenuti alla risposta. L’Italia si è attestata su un modestissimo 27%, ma sempre meglio di USA, Israele o Russia e poco dietro il Regno Unito (30%), sempre lontano dal 76% di Shangai-Cina o dal 62% sud-coreano.

Anche qui merita leggere la ridicola presentazione del quesito. Evitiamo di ripetere quanto detto a proposito del quesito precedente. La “categoria della domanda” ripete la stessa ridicola tiritera della domanda 3. Il livello della questione comporterebbe addirittura il ricorso a modelli di situazioni complesse… e lo studente in grado di rispondere correttamente sarebbe addirittura capace di tutte quelle cose sotto elencate… Retorica di pessimo livello o fantasia senza freni?

Livello della domanda
Al livello 4 gli studenti possono lavorare efficacemente con modelli espliciti di situazioni concrete complesse che possono comportare vincoli o possono richiedere di introdurre ipotesi. Possono selezionare e integrare differenti rappresentazioni, incluse quelle simboliche, legandole direttamente ad aspetti di situazioni del mondo reale. Gli studenti a questo livello possono utilizzare abilità ben sviluppate e ragionare in modo flessibile, con qualche veduta approfondita, in questi contesti. Possono costruire e comunicare spiegazioni e argomenti basati sulle loro interpretazioni, argomenti o azioni.

Categoria della domanda
[Come alla domanda precedente].


Test di livello 5:


Non è poi così difficile. Se in discesa Toshi marcia a 3 km all’ora impiegherà 3 ore per fare i 9 km. Se in salita marcia a km 1.5/ora impiegherà il doppio, cioè 6 ore. 9 ore in totale. Quindi, se deve tornare entro le 8 di sera, deve partire entro le 11. Un medio frequentatore di enigmistica – anche digiuno di matematica – impiegherà un minuto o due per risolvere il “problema”, tutto sommato assai più facile del precedente (ma bisognerebbe vedere cosa dice il modello di Rasch quanto alla difficoltà “oggettiva”…). L’esito delle risposte è tutt’altro che esaltante: Germania 18%, Canada 16%, Finlandia 15% – ma come la “grande” Finlandia! – Francia 13%, Italia 10%, Israele e USA 9%, Russia 8%, Brasile 1%. In testa la solita Shangai-Cina col 55%, poi Singapore 40%, Corea 31%. Cosa pensare di questi dati in relazione al test l’ho detto nell’articolo. Coinvolge abilità calcolistiche alla portata di qualsiasi buon enigmista. Chi si metta a cercare di risolverlo con formule non farà in tempo, pur avendo una migliore idea di cosa sia la matematica, o – per meglio dire – ingannato dalla pretesa che questo sia un test di conoscenze e capacità matematiche.
Nel confrontare gli esiti del test 4 e 5 sembra plausibile ritenere che il 4 abbia spinto a dare la risposta “a naso” (che “suona” evidentemente 720) e quindi i risultati siano stati migliori. Invece, il 5 richiedeva per forza di fare un calcolo, e quindi ha prodotto esiti peggiori. (Se è così, come è assai ragionevole, questo rappresenta una confutazione su un caso specifico del modello di Rasch).

Ma la presentazione dei test Ocse-Pisa non manca di proporci la solita retorica che qui raggiunge livelli da operetta. Lo studente capace di risolvere questo test sarebbe un von Neumann in erba e la categoria della domanda s’identifica nientemeno con l’essenza della modellizzazione matematica dell’universo. La domanda apparterebbe alla categoria del cambiamento e delle relazioni. Tutto quello che si descrive sta dietro alla domanda… Rispondere correttamente alla domanda implicherebbe possedere la capacità di modellizzare il cambiamento mediante funzioni ed equazioni appropriate? Ma quali equazioni servono mai per risolvere questo problema? Un testo assolutamente incredibile. Forse l’autore aveva ecceduto nel pasto prima di darsi a cotanta prosa.
Tutto questo lo paghiamo profumatamente come cittadini europei.

Livello della domanda
Al livello 5 gli studenti possono sviluppare e lavorare con modelli di situazioni complesse, identificando vincoli e specificando ipotesi. Possono selezionare, comparare e valutare strategie appropriate di problem solving per trattare problemi complessi relativi a questi modelli. Gli studenti a questo livello possono lavorare strategicamente usando un pensiero ampio e ben sviluppato e abilità di ragionamento, rappresentazioni appropriate correlate, caratterizzazioni simboliche e formali e vedute pertinenti a queste situazioni. Possono riflettere sulle loro azioni e formulare e comunicare le loro interpretazioni e i loro ragionamenti.

Categoria della domanda

Questo item appartiene alla categoria del cambiamento e delle relazioni. I mondi naturali e progettati mostrano una moltitudine di relazioni temporanee e permanenti fra gli oggetti e le circostanze, in cui si verificano cambiamenti entro sistemi di oggetti interrelati o in circostanze in cui gli elementi si influenzano a vicenda. In molti casi questi cambiamenti si verificano nel tempo, e in altri casi i cambiamenti in un oggetto o in una quantità sono correlati ai cambiamenti in un altro. Alcune di queste situazioni comportano cambiamenti discreti; altri cambiamenti continui. Alcune relazioni sono di natura permanente, o invariante. Essere più “literate” circa il cambiamento e le relazioni comporta la comprensione dei tipi fondamentali di cambiamento e il riconoscere quando essi si verificano al fine di far uso di modelli matematici appropriati a descrivere e prevedere il cambiamento. Matematicamente questo significa modellizzare il cambiamento e le relazioni con funzioni appropriate ed equazioni, e creare, interpretare e tradurre le rappresentazioni simboliche e grafiche delle relazioni.

domenica 1 dicembre 2013

ADHD e DSA: come trasformare educazione e istruzione in malattie


L’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder o sindrome del bambino agitato) fa parte oggi della vita quotidiana delle scuole. È una delle “etichette” dei bambini “certificati”, bambini che sicuramente hanno delle difficoltà (di concentrazione, di attenzione e ascolto, di condotta) nel partecipare alla vita scolastica, ma che a causa della tendenza alla medicalizzazione si portano addosso etichette che, come sanno tanti insegnanti, sono parte del problema di questi bambini più che della soluzione delle loro difficoltà. Vi sono a livello internazionale molte persone che si oppongono alla sindrome ADHD e all’enorme giro di affari che si è innestato attorno a questa “malattia”, con l’introduzione di un sedativo, il Ritalin: l’idea di fondo è che nella loro crescita i bambini si confrontano spesso con difficoltà, nell’apprendere, nell’avere rapporti con i pari e con gli adulti, nella conquista di un’autonomia e libertà che è anche autocontrollo e responsabilità, ma che queste difficoltà sono proprio la materia dell’educazione, sono responsabilità di genitori, maestri, istruttori di sport e tempo libero, ognuno con gli strumenti che una lunga tradizione ha messo a disposizione. Proprio quando le scienze dell’educazione hanno raggiunto tanti traguardi e la conoscenza del mondo infantile è tanto progredita dobbiamo arrenderci?
Una conferma in tal senso viene da un protagonista, il celebre studioso statunitense, Leon Eisenberg (1922-2009), che nel 2007 pubblicò un articolo sull’evoluzione che ha portato alla “nascita” dell’ADHD, nel quale – sotto una retorica autocelebrativa – è evidente una notevole preoccupazione per la situazione attuale. Nel febbraio del 2012, in un articolo pubblicato sul settimanale tedesco «Der Spiegel», il giornalista scientifico Jörg von Blech, autore del saggio “Inventing disease and pushing pills: Pharmaceutical companies and the medicalisation of normal life“ (pubblicato nel 2003 in tedesco, ora disponibile in inglese da Routledge, 2006)  ha scritto che nel 2009, sette mesi prima della morte, in una intervista nella sua casa, Eisenberg affermò che l’ADHD è  una “fabrizierte Erkrankung”, e che la predisposizione genetica all’AHDH è completamente sopravvalutata. Von Blech riporta che Eisenberg affermò che lo psichiatra infantile deve indagare più a fondo le ragioni psicosociali che possono portare a ciò che si osserva nel comportamento di un bambino, e fra tutte riferendosi ai problemi in famiglia (i rapporti fra i genitori o le incomprensioni fra bambino e genitori); e osservò anche che questa indagine richiede però molto tempo (e, potremmo aggiungere noi, buonsenso, competenza e intelligenza da parte di medici ed educatori) mentre prescrivere una pillola è molto veloce! Queste informazioni circolano in rete, a volte in ondate e a volte in traduzioni di traduzioni, come un movimento di resistenza sotterraneo, ma vi sono state anche dichiarazioni istituzionali, come quella della Commissione nazionale di etica per la medicina (NEK-CNE) svizzera che in un parere del 2011 ha sottolineato che (citiamo) l’«enhancement farmacologico può causare una limitazione della libertà, dei diritti della personalità e dello sviluppo della personalità. I genitori, le strutture scolastiche e gli altri tutori hanno a questo proposito una responsabilità particolare, sia nei confronti del singolo bambino sia nei confronti dei valori e dei criteri futuri della nostra società. La Commissione chiede di verificare la prassi attuale in materia di prescrizione di psicofarmaci ai bambini, nonché di chiarire le cause dell’incremento del consumo e di proteggere i bambini da un consumo eccessivo».
Forse possiamo sperare che si cominci a diffondere un’ondata di buon senso attorno a questo ennesimo caso di medicalizzazione estrema di ogni aspetto dell’esistenza. Ma la tendenza attuale è di eliminare qualsiasi fattore sociale, culturale, psicologico, affettivo, emotivo, riducendo tutto a fattori materiali, fisici. Quindi anche l’educazione e l’istruzione diventano un fatto medico, di competenza di psichiatri e psicologi – beninteso di scuola rigorosamente materialista.
Una situazione analoga riguarda i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento).
Come nel caso dell’ADHD, la letteratura sulle basi biologiche di questo insieme di disturbi fa girare la testa: si avanza di tutto e il contrario di tutto - basi genetiche, differenze neurologiche, identificate in tal modo o tal altro. Nessuno sa niente di preciso, ma troppi si gonfiano la bocca con paroloni senza sapere di cosa stiano parlando.
Di certo, quel che è chiaro è che trattasi di una buona materia per far affari, certo non sostanziosi come la vendita del Ritalin e le visite connesse, ma comunque di affari interessanti: diagnosi, terapie, supporti informatici, libri, materiali vari.
Il fatto gravissimo è che la materia – difficoltà matematiche, difficoltà di scrittura, ecc. – viene sottratta agli insegnanti per essere delegata a specialisti che spesso non hanno alcuna competenza in materia. Nel caso che a noi interessa in particolare – la discalculia – la cosa è particolarmente grave, perché chi si occupa di problemi di apprendimento della matematica dovrebbe avere una solida conoscenza di quest’ultima, dovrebbe sapere di cosa si sta parlando.
Invece, se ne sentono di tutte: per esempio che la matematica è una scienza “procedurale” e che le tavole pitagoriche sono un insieme ordinato di parole da memorizzare come tale. Molti dei disturbi di discalculia sono semplicemente inesistenti, come quelli derivanti da problemi di incolonnamento che sono banalmente riconducibili al fatto che alle primarie non s’insegna più a incolonnare (cosa che prima derivava dal tracciamento di aste e tondi). Molti altri esempi si potrebbero fare, e li faremo in seguito.
Ma c’è qualcosa di più grave. Che dire se uno “specialista” (uno psicologo, nella fattispecie) ti interpella con supponenza, parlando dei suoi successi nell’aver “curato” difficoltà di apprendimento «della matematica E dell’algebra”? Costui crede che l’algebra sia una cosa distinta dalla matematica. E lo dice senza vergogna. Cosa capiterebbe se andassimo a parlare a un chimico di “chimica e chimica organica”, o a un fisico di “fisica e di fisica delle particelle”, come cose distinte? Un buon cappello d’asino sarebbe appropriato. Invece qui, chi parla così ha in mano il bastone di comando e tiene in pugno la sorte dei bambini.
C’è ancora di peggio. Ad esempio, ci informano di un un “Corso Intensivo di Tecniche di apprendimento facilitanti per il superamento della discalculia” che si occupa anche dei Bes (Bisogni Educativi Speciali) promosso da un certo Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare (Inpef). È un corso destinato a docenti di matematica delle scuole di ogni ordine e grado, educatori, tirocinanti, studenti universitari, logopedisti, insegnanti di sostegno, psicologi, e chi più ne ha più ne metta. Al costo di 230 euro + Iva rilascia un certificato di competenze. Direte che tanto non conta nulla. Eh, no, perché questo ente è accreditato presso l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio e il Corso è autorizzato dal medesimo USR con D.D. n. 220.
Sarebbe interessante soffermarsi sul programma del Corso, che è scritto in un linguaggio ridicolo (l’anticamera del calcolo aritmetico sarebbero l’insieme unione, l’insieme differenza e la ripartizione (?). Ma anche qui il peggio è sufficiente a tagliar corto sul resto.  Nel capitolo dedicato all’aritmetica “speciale” (?) si parla degli insiemi: «Gli insiemi: l’insieme vuoto, pieno…».
Davvero? Veniamo a sapere una novità sconvolgente: è nato il concetto di insieme pieno!… Poco dopo, alla voce geometria, si parla di “poligono e non poligono”… E cosa mai sarebbe il “non-poligono”?
L’autore deve essere uno che ha letto troppo Heidegger.
Scherzi a parte, qui c’è davvero poco da scherzare.
Con l’autorizzazione di una USR si incamerano quattrini per formare persone che andranno a “curare” dei poveri bambini diagnosticati di DSA, opportunamente formate sui concetti di “insieme pieno” e di “non poligono”. Si accredita un ente che, nel proporre questo “corso” dichiara che «la matematica è un GIOCO [sic] e può essere appresa da chiunque».

Salvare la scuola italiana significa anche – non soltanto, ma anche – cacciare fuori dal tempio la congrega di ciarlatani affaristi che si sta precipitando sul tema delle malattie da apprendimento come mosche sul miele.