venerdì 29 maggio 2015

Saluti ad ALDO BRIGAGLIA in occasione della Giornata in suo onore per il suo pensionamento

Ritornando con la mente al periodo in cui ho conosciuto Aldo Brigaglia, dimentico per un attimo gli anni, tanti, che ho trascorso in questo paese di cui ho avuto anche la nazionalità e mi colloco di nuovo dalla prospettiva di una giovane ricercatrice spagnola. Leggere i lavori di Aldo, ascoltarlo e seguire le sue attività ha significato per me entrare in contatto con una tradizione culturale che capivo risalire agli autori che egli stesso ha studiato, a Cremona, a Enriques, a Castelnuovo, con la loro visione ideale della scienza, profondamente umanistica, e il loro amore per le giovani generazioni e per il susseguirsi armonico delle generazioni nel ricevere e costruire un patrimonio comune. Ai miei occhi Aldo stesso rappresentava questo ideale condiviso. In quegli anni mi occupavo del lavoro geometrico di Rey Pastor e nel comprendere la scuola italiana di geometria algebrica attraverso i suoi lavori ho trovato una fondamentale chiave di interpretazione; ma mi sembrava di seguire i passi dello stesso Rey Pastor e tanti giovani matematici spagnoli in Italia e potevo immaginare l'impatto – agli inizi del Novecento – di un modo cordiale e accogliente e nel contempo l'ammirazione per l'intelligenza, la visione acuta e l'amore per la scienza e anche per l'insegnamento della scienza.
            Vi sono un episodio e poi una circostanza più generale che mi ritornano in mente e che vorrei condividere con voi e con Aldo. Il prim, riguarda l'articolo pubblicato da Aldo (in collaborazione con Simonetta di Sieno) sulla rivista dell'UMI sul profilo politico e culturale di Cremona. Mi arrivò per posta la prima parte e ricordo di averlo letto con grande interesse nel treno di ritorno a casa, e a un certo punto sono arrivata a una citazione di una lettera di Cremona a un collega francese, piena dell'atmosfera risorgimentale, che corrispondeva chiaramente alla risposta del collega francese che si conserva a Roma nella Biblioteca Castelnuovo e che avevo citato in un articolo che avevo in bozze (poi uscito su Science in context): arrivata a casa invece di occuparmi dei figli mi sono precipitata a inserire un riferimento nel mio articolo. Ho avuto il senso di gratitudine per aver avuto occasione di partecipare in questi anni a un lavoro collettivo messo in piedi in anni che Giorgio ricorda nel suo intervento.
            La circostanza più generale riguarda il lavoro a Scienze della Formazione Primaria. E' un impegno al quale credo profondamente e che ho condiviso con Aldo, trovando molto sostegno nelle cose che Aldo ha scritto e fatto, che sento espressione dei grandi insegnamenti di Federigo Enriques. Credo in un impegno intellettuale che agisce sulla realtà senza specialismi e senza arroccarsi in torri di avorio, proprio come ho visto sempre in Aldo in questi anni.
            Aldo, dopo un po' di riposo e con meno burocrazia aspettiamo di leggere e ascoltare i tuoi nuovi contributi.
Grazie, e un abbraccio

Ana Millán Gasca
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È con emozione che scrivo queste righe in onore di Aldo Brigaglia. Essendo quasi coetanei e pensionati quasi simultaneamente, questa circostanza mi rinvia a lontani ricordi di quasi quaranta anni fa e a una sostanziale comunanza di vedute che ci ha avvicinato nel tempo e che era una motivazione condivisa, sia pure nata su territori diversi.
Provo a definire questa motivazione. Sia Aldo che io, e molti altri abbiamo scoperto e nutrito l’interesse per la storia della matematica – la disciplina entro cui ci eravamo formati come giovani laureati e ricercatori – non per un interesse esclusivamente tecnico, ovvero costruire storie rigorose di un problema specifico, di un teorema, della genesi di una teoria. Naturalmente, questo aspetto non era ignorato: di che parlare trascurandolo? E infatti il nostro percorso ha visto una crescita continua di rigore, di interesse a elucidare gli aspetti tecnici, uno sforzo di penetrazione di tutti gli aspetti di una teoria studiata. Penso ai contributi sempre più importanti, precisi e sostenuti da una profonda conoscenza che Aldo ha dato alla storia della geometria algebrica italiana.
Ma c’era qualcosa di molto più profondo che veniva dalle motivazioni iniziali. Oggi, Aldo penso che non riscriverebbe tal quale Il Circolo Matematico di Palermo (come non lo farei io per diversi miei scritti sulla storia della matematica italiana), ma è là la radice di una visione del ruolo della storia della matematica (e della storia della scienza, in generale) che penso non ci abbia mai abbandonato, e anzi ci abbia accompagnato fedelmente. Quale era tale visione? In sintesi, che la storia poteva assumere – anzi era il principale strumento che poteva assumere – il ruolo di difendere una visione umanistica e culturale della scienza e della matematica, che non la sconnettesse dal resto della conoscenza come una mera disciplina tecnica. In ciò vi era anche lo sforzo di rivivificare una tradizione che era stata rappresentata in modo così brillante in Italia da Federigo Enriques, o che è bene espressa dall’aforisma di Henri Poincarè, secondo cui «per prevedere il futuro della matematica occorre conoscerne la storia e lo stato presente». Aldo ha anche creduto fortemente nel ruolo della storia nell’insegnamento scolastico oltre che universitario e si è impegnato validamente su questo fronte fino all’ultimo.
Come valutare il successo di questo programma che ha mosso le intenzioni di tanti di noi coetanei, magari in certi casi sotterraneamente ma con grande fedeltà e attaccamento a una visione che definivo umanistica e culturale? In molti casi, positivamente. Nel caso di Aldo, in modo brillante e profondo. I suoi contributi alla storia della matematica italiana, e delle scuole geometriche e algebriche in particolare, oltre che quelli di natura sociologica e didattica, restano come quei capisaldi che permettono di parlare di crescita della conoscenza.
Purtroppo, temo che sul piano generale la promozione di una visione come quella che penso ci abbia sempre ispirato, non ha ottenuto gli effetti sperati. La comunità degli storici della matematica non si è espansa, non è stato possibile formare un consistente gruppo di giovani che prendesse la staffetta, salvo ovviamente casi isolati. Nella comunità dei ricercatori matematici propriamente detti la storia è stata vista con sufficienza e disinteresse, come una disciplina minore e, da parte degli storici, il rispondere tecnicizzando sempre di più i propri contributi è stato casomai controproducente. È indubbio che una piccola comunità esposta a un clima in cui le circolari ministeriali insistono sempre più sull’idea disastrosa che la matematica è nient’altro che problem solving si trova in gran difficoltà. È altresì vero che la mancanza di coraggio e il richiudersi in sé stessi non paga mai.
Ma se sentivo necessario, per sincerità, rilevare questi aspetti negativi, non è certamente mia intenzione chiudere con una nota malinconica. E anche questo lo dico in piena sincerità. Verrei meno a quell’ideale umanistico che penso unisca profondamente me e Aldo se non avessi la profonda convinzione nella forza delle idee. I buoni semi possono restare chiusi per tanto tempo ma prima o poi poi germinano anche sull’asfalto.
Penso che quel che ha fatto Aldo per la matematica, la scienza e la cultura sia di per sé un contributo di grandissimo valore, ma anche un sacchetto di semi che germinerà e fruttificherà presto su nuovi terreni. A lui un abbraccio e la richiesta di riempire ancora nei prossimi anni il sacchetto con tanti bei contributi.
Giorgio Israel

venerdì 15 maggio 2015

Un solo mestiere, il mestiere di essere umano

Sembra quasi, ultimamente, che l'alternanza scuola-lavoro sia una grande novità che guarda al futuro e dovrebbe scuotere dal suo torpore una scuola cattiva o quanto meno vecchia e non al passo con i tempi. La scuola dovrebbe così modellarsi e trasformarsi in funzione delle esigenze odierne del lavoro; tutt'al più con qualche spennellata di storia dell'arte e di musica. L'Europa ammonisce, poi: orientare la scuola al lavoro.

In realtà ci spacciano veramente roba vecchia... In un bel saggio pubblicato nel 1957, L'educazione in Europa 1400-1600, Eugenio Garin, ricordava un accurato catalogo di mestieri risalente ai primi del Quattrocento scritto dal cardinale Giovanni Dominici (Giovanni di Domenico Banchini, Firenze 1356/57-Buda 1419)
 http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-di-domenico-banchini_(Dizionario-Biografico)/
a proposito della scelta della professione dei figli:

«richiedesi appresso alla comunità universale diversi esercizi, come zappatori, legnaiuoli, muratori, intagliatori, dipintori, sartori, armaioli, tessitori, lanaiuoli, cambiatori, setaiuoli, mercatanti e mille tali differenze di maestranza. Siano esaminate le inclinazioni i fanciulli, e quelle seguitando, si viene a qualche profitto [...] Disposto a essere lanaiuolo non sarà buon barbiere, [...] spezial di natura, male imparerà a ferrare cavagli [...] Da il provvido Signore del tutto a ciascuno l'ufficio proprio»

Dominici si opponeva a gli umanisti, come Coluccio Salutati (1331-1406) e altri dopo di lui (si pensi a Leon Battista Alberti, uomo poliedrico e cultore di matematiche), che difendevano lo studio della poesia e della cultura classica:

“Chi è inclinato a intagliare,[...] non sarà assiduo allo studio”

Questo elenco dettagliato ci ricorda certi rapporti sulla scuola che con tanti quattrini vengono pubblicati oggi da alcuni privati (invece di usare i soldi per finanziare laboratori scientifici e palestre) perché nonostante la distanza nel tempo il discorso di fondo rimane lo stesso. Oggi si cerca di influenzare le scelte pubbliche, ma persiste anche il bersaglio che aveva il cardinale: le famiglie che si inquietano per il futuro dei figli, adesso come settecento anni fa.

Garin ne parla nel suo libro – scritto proprio per ampliare gli orizzonte delle discussioni degli anni Cinquanta in Italia sulla riforma della scuola – per far comprendere la forza dirompente del nuovo tipo di educazione "liberale" concepita dagli umanisti; Garin notava che Amintore Fanfani, nella sua opera Le origini dello spirito capitalistico in Italia (1933) aveva sottolineato il "valore pedagogico" e la novità di Dominici, salvo poi riconoscere che in realtà vi erano sotto pensieri antichi e un antico scopo: mantenere l'ordine stabilito. Gli umanisti, come ricorda Garin, cercavano “non di condizionare l'allievo, e di addestrarlo in una tecnica, ma di prepararlo alla vita: a esercitare, non questo o quell'ufficio –e magari alto ufficio – ma un solo ufficio, un solo mestiere, il mestiere di uomo”.

Per il cardinale Dominici le “lettere umane” erano tentazione del demonio e principio di ogni perversione, certo, soprattutto per via della minaccia che incombeva sulla saldezza dei dogmi religiosi se si formava l'allievo sui classici, sviluppando il senso critico e la chiarezza del ragionamento. Nei discorsi di molti che vorrebbero oggi scardinare i "contenuti" tradizionali e “inutili” della scuola, non vi sono ovviamente scopi di purezza religiosa, ma si riconosce, sotto la facciata di “expertise" e le tabelle e statistiche, lo stesso tentativo di mantenere le menti "sotto controllo". Le povere materie letterarie sono quindi spacciate, soprattutto la storia, per non dire della filosofia, tutt'al più si può pensare a qualche materia di "Trattamento di testi"; le materie scientifiche, e in particolare la matematica (e l'informatica) dovrebbero invece dominare nei contenuti.
La diatriba tra la scuola delle “parole” (intese nel senso peggiore, come qualcosa di fumoso e mancante di concretezza) e la scuola delle "cose", delle cose "reali" (in tedesco esiste proprio l'espressione "scuola reale") non è nuova nemmeno essa: gli umanisti si videro fare da parte dai "moderni", nel Seicento, lo stesso rimprovero che essi avevano rivolto all'insegnamento medievale, come mostra Garin.
Ma questa tensione virtuosa ha contribuito a dar spazio nella cultura europea alle materie scientifiche e a non soccombere a un insegnamento pedante di regole e regolette e nozioni a memoria, un rischio sempre effettivamente presente, ma non soltanto studiando la grammatica, ma anche la matematica. Ma attenzione!: la matematica era parte integrante delle humanitas, come porta della filosofia che si pone problemi sul mondo e cerca la conoscenza (altro che "problem solving"!), e quindi formazione dell'uomo; mentre quello che oggi si prospetta è l'addestramento tecnico, non di lanaiuoli e mercatanti, ma degli equivalenti attuali, che devono sapere calcolare e usare il computer e altre macchine, eseguendo con diligenza la loro parte nel grande ingranaggio sociale.
Un vero incubo.


(Ana MIllán Gasca)

martedì 12 maggio 2015

GIOVANNI PASCOLI, I BAMBINI E LA MATEMATICA

Otto... nove... ed un altro… un altro…    


Ci viene in mente un quaderno della prima classe di primaria dove abbiamo visto scritta questa frase "Il tempo scorre sempre alla stessa velocità". Ed era la prima pagina del quaderno di ... storia!!

            Tentativi maldestri, in perfetta buona fede, di venire incontro alle fumose idee che si ritrovano nei documenti ufficiali su competenze astratte del tipo "orientarsi nello spazio e nel tempo" che mescolano storia e fisica, geografia e matematica: e lo fanno, non con uno sguardo interdisciplinare sul mondo di ampio respiro (appunto cercando i legami fra le discipline che strutturano il sapere, a partire dal mondo greco), ma inventando categorie primordiali fredde e prive di autenticità; senza alcuna conoscenza delle ricerche di storia ed epistemologia della scienza.

            Invece, pensate quante riflessioni con i bambini potrebbero scaturire, già dopo i primi mesi della prima e anche dopo, dalla lettura di questa meravigliosa poesia di Giovanni Pascoli:

Otto ... nove... anche un altro tocco: e lenta scorre
l'ora; ed un altro ... un altro. Uggiola un cane.
Un chiù singhiozza da non so qual torre.

È mezzanotte. Un doppio suon di pesta
s'ode, che passa. C'è per vie lontane
un rotolìo di carri che s'arresta
di colpo. Tutto è chiuso, senza forme,
senza colori, senza vita. Brilla,
sola nel mezzo alla città che dorme,
una finestra, come una pupilla.


Vi è dentro lo scorrere dei numeri naturali ma anche l'intuizione del continuo del tempo e, poi, le basi della stessa idea di misura. Pensate quante domande ai bambini, quante risposte ingegnose, sentimenti, ricordi del buio e della notte, suoni evocati di campane, passi e ruote di carro e versi degli animali. Ma pensate anche quanta matematica: forme che non si vedono al buio, finestre e ruote, torre che si spinge dritta, movimento e riposo, e poi doppi passi, i tocchi, le dodici ore.... e i minuti e i secondi, quanti disegni, quanta vita!

            Trovate questa e altre poesie di Pascoli in un libretto curato dalla Lindau, con stupende illustrazioni di Mattia Dell'Ernia (che i bambini guardano ma anche toccano per sentire l'acqua della pioggia!); 22 poesie che vengono incontro al sentimento infantile: dal bimbo col dito in bocca, alle lettere incerte sul foglio come un campetto bianco di grano nero, agli orizzonti del mondo. In fondo al volume vi sono colori e spiegazioni per comprendere fino in fondo le poesie. Un libro che dovrebbe trovarsi in ogni classe delle nostre scuole, ma anche un bellissimo regalo (Una finestra, come una pupilla, Lindau, 2014, 13 euro).

(Ana Millán Gasca)