giovedì 18 luglio 2013

Il responso dei test Invalsi e il declino dei numeri


Non servivano i dati Invalsi (secondo cui il 50% degli studenti ha sbagliato i test) per sapere che la matematica è la bestia nera della scuola italiana. In realtà, le cose vanno male ovunque per il diffondersi di approcci didattici che, affastellando caoticamente le innovazioni, hanno oscurato il senso della disciplina. Ciò accade anche in paesi considerati di successo come la Finlandia, dove la matematica è diventata un oggetto didattico irriconoscibile, utile a superare bene i test Ocse-Pisa, ma con effetti disastrosi denunciati dai matematici finlandesi. La peculiarità del caso italiano è che, a forza di riforme a metà e sperimentazioni, non c’è più un sistema coerente. Triste esito per un paese che ha avuto un Federigo Enriques, grande matematico e grande cultore dell’insegnamento, i cui manuali hanno plasmato generazioni. L’Italia si trovò, all’indomani dell’Unità, senza un sistema d’istruzione e i matematici furono in prima fila nel costruirlo: nell’arco di un trentennio un paese che non esisteva sulla scena della scienza mondiale divenne la terza potenza matematica, dopo Germania e Francia. Per la matematica il riferimento fu l’opera massima della scienza greca e occidentale: gli Elementi di Euclide, modello del ragionamento matematico fondato sul rigore logico e sull’intuizione geometrica. Che questo approccio abbia funzionato è indiscutibile, com’è lo è che dovesse essere riformato, soprattutto introducendo gli sviluppi del pensiero matematico legati allo studio del mondo fisico.
Ma gli estremismi sono nefasti nella scienza non meno che altrove. Negli anni sessanta, un influente gruppo di matematici francesi lanciò lo slogan furente “Abbasso Euclide!” (che ebbe larga eco e ferventi sostenitori, come il pedagogista Jean Piaget), e propose di centrare l’insegnamento sulle “strutture” astratte e la teoria degli insiemi. La geometria doveva essere spazzata via e ridotta all’algebra. I buoni manuali non dovevano contenere figure. La riforma fu implementata in Francia, seguita in molti paesi e si risolse in un disastro. Il celebre matematico russo Vladimir Arnold diceva ironicamente che se si fosse chiesto a un bambino francese quanto fa 2 + 3 non avrebbe risposto 5 bensì «3 + 2 perché l’addizione è commutativa». In Francia si tornò indietro di corsa. Da noi non si torna mai indietro: si rappattuma. Così, all’infatuazione degli anni sessanta e settanta seguirono revisioni che hanno lasciato pessime eredità: la mania di infliggere fin da piccoli la teoria degli insiemi (inutile al livello scolastico), l’idea sbagliata che la matematica si identifichi con la logica, l’ossessione per le regole e le definizioni. Una vicenda (autentica) che illustra questa ossessione è quella di un bambino imputato di non capire la divisione. Perché non sa dividere? Al contrario. E allora? Il guaio è che non apprende le “5 proprietà” dell’addizione che la maestra vuole si conoscano in ordine: un numero diviso per sé stesso dà 1, ecc. Il povero bambino che non riesce a ricordare la filastrocca è diagnosticato “discalculico”… Del resto, i manuali scolastici offrono il panorama desolante di un diluvio di “proprietà” insensate che alimentano l’antipatia per la matematica in ogni persona ragionevole.
Cosa è rimasto del vecchio approccio geometrico? Brandelli che aggravano l’incoerenza del panorama. Inoltre, nella logica da bricolage delle nostre “riforme” i correttivi si sono sommati ai correttivi. Riassumerei uno di questi nello slogan: “andiamoci piano”. Il bambino non deve sentir parlare di numeri e figure prima dei 6 anni e, per altri due anni, evitare i numeri grandi: una disastrosa “didattica della paura”. Un altro correttivo è la “concretezza”: proporre tante applicazioni, esempi “divertenti”, senza una visione unificante. Il risultato – alimentato dall’introduzione massiccia di test e dell’insegnamento rivolto al superamento dei test – riduce la matematica a un sistema per risolvere enigmi e rompicapi. Il tratto comune è: alla larga dai concetti e dalle visioni organiche.
Ma la matematica è ben altro. È la scienza più antica che, come tale, ha relazioni con ogni ambito della conoscenza e tocca tutte le questioni – teoriche e pratiche – da sempre al centro dei pensieri umani. Solo facendo comprendere questo, “restituendo la matematica alla cultura”, esplorando l’affascinante tematica del numero e del continuo geometrico, è possibile destare interesse e affrontare l’analfabetismo matematico. Tante esperienze di successo mostrano che questa è la via giusta. Chi pensa, con mediocre scetticismo, che si tratti di illusioni in realtà non crede che i giovani possano avere autentici interessi e che l’unico problema sia come indorare una pillola indigesta: è la via maestra per scendere sempre più in basso.
Giorgio Israel

(Il Messaggero, 17 luglio 2013)

giovedì 11 luglio 2013

Invalsi autoreferenziale


Roberto Ricci responsabile dell'area prove Invalsi, ha dichiarato: «Quest'anno abbiamo dato più spazio a domande aperte, che in matematica consentono risposte più ricche. Vogliamo capire il ragionamento compiuto dallo studente per dare la risposta, individuare il lettore più competente non quello erudito. Per far bene le prove Invalsi bisogna aver fatto bene la scuola».
Abbiamo fornito delle analisi dettagliate dei test di matematica spiegando perché sono fatti male, inducono idee e approcci sbagliati, rispondono a criteri didattici inappropriati.
È evidentemente troppo chiedere una risposta nel merito dai responsabili dell'Invalsi.
Ma niente. Loro non si degnano. Ribadiscono imperterriti di aver fatto il meglio nel miglior modo possibile, tappandosi, occhi, orecchie, ed anche il cervello.
Sono al di sopra di ogni valutazione...