giovedì 8 maggio 2014

C'ERA UNA VOLTA

In attesa di parlare dei test Invalsi disintossichiamoci con un po' di cultura…

«Tutte le storie incominciano con “C'era una volta”. E la nostra storia vuole raccontare proprio questo: che cosa c'era una volta.», scrive il grande storico dell'arte Ernst H. Gombrich rivolgendosi ai ragazzi in apertura del suo libro Una breve storia del mondo per giovani lettori, pubblicato per la prima volta nel 1936 a Vienna. Egli spiega loro che i “c'era una volta” non finiscono mai, per cui “c'è da farsi venire le vertigini”, e lo fa usando un linguaggio semplice e incisivo: "Hai provato a stare tra due specchi? Dovresti farlo! Vedrai tantissimi specchi uno dietro l'altro, sempre più piccoli e lontani, all'infinito".  È la stessa riflessione di Thomas Mann che come ricorderanno i lettori di Pensare in matematica ci ha ispirati nelle prime pagine del nostro libro, suggerita attraverso un'immagine meno solenne di quelle bellissime usate da Mann (il pozzo, le dune lungo il mare), ma efficace per disporre i più giovani a pensare facendo, come è loro naturale: afferrare subito lo specchio e lasciare andare la mente. Gombrich li invita da subito a non smarrirsi in questo infinito, ma a confidare nel fatto che possiamo sapere: “Una volta eri piccolo... portavi i pannolini, ma di quello non ti puoi ricordare. Però sai che è così".

Questo libro, pubblicato a Vienna, tradotto in molte lingue e continuamente ristampato (in italiano l'edizione del 2004, con una prefazione della nipote Leonie, è edito da Salani con il titolo Breve storia del mondo), è l'unico scritto da Gombrich in tedesco. Egli lo compose in tempi da record perché in quei tempi di crisi era un giovane laureato disoccupato ... (la sua tesa di laurea era uno studio sul Palazzo Te di Mantova). Subito dopo egli si trasferì in Inghilterra. Gombrich raggiunse grande celebrità storia dell'arte, ma in lui rimase vivo l'interesse  per far conoscere a tutti le ricerche degli studiosi, come mostra un'altro libro stupendo, la Storia dell'arte raccontata da E. Gombrich. Quest'ultimo si rivolge però ai giovani, mentre Breve storia del mondo inizia addirittura parlando di "pannolini" (anche se ogni lettore adulto lo leggerà con piacere).

In quel periodo per la verità l'idea che a un bambino o una bambina si può spiegare quasi tutto con parole semplici era condivisa da molti, e in più paesi vi erano persone alla ricerca di quelle parole semplici per spiegare ai piccoli la storia, la scienza, la matematica, magari senza formalizzarsi troppo, rischiando quale imprecisione ma lasciando volare l'immaginazione e proponendo quadri di insieme: nascevano così collane dal titolo "Scienza per bambini" oppure "L'iniziazione scientifica". Non si trattava di sostituirsi ai manuali scolastici, come lo stesso Gombrich ha scritto; piuttosto di svegliare la curiosità e il gusto di apprendere («prometto che alla fine non vi interrogherò», scrisse Gombrich).

Breve storia del mondo non ha perso con gli anni niente della sua vivacità, derivata anche dal fatto che è un dialogo diretto tra l'autore e il lettore. La sua lettura risulterà di ispirazione ad ogni insegnante e a ogni genitore nel trovare le parole giuste per iniziare a proporre i bambini le “tracce del passato” che gli storici aiutano a ritrovare nel presente. Questo si può fare fin dalle classi prima e seconda (come dimostra d'altra parte l'interesse enorme dei bambini per i racconti sulla storia dei numeri, che è molto utile per iniziarli al calcolo). Si spreca l'apertura mentale dei bambini di 6-7 anni se li si abbandona, come si fa ancora oggi in Italia, a noiose e astratte spiegazioni sugli avverbi di tempo (prima, dopo, contemporaneamente ....) o allo studio dell'orologio (l'orologio riguarda la tecnica, e la fisica e la matematica, non la storia!); per non dire dei ricordi sulla propria famiglia su cui ci si sofferma tanto, che possono sì servire a riflettere su come l'uomo sente l'esigenza di raccontare e tramandare la memoria del passato, ma non introducono affatto alla storia come disciplina. Il modo giusto di dare i primi passi è sentir raccontare cose, fatti, scoperte del passato che la ricerca storica ci svela, con un linguaggio semplice; per poi avviarsi verso un pensiero critico, nelle ultime classi (dalla terza alla quinta) quando si comprenderà che ogni storico deve ricorrere a delle fonti, che interpreta tali fonti sulla base di argomentazioni che però possono essere contraddette, e allora il libro di Gombrich si potrà gustare leggendone anche singoli capitoli.
Gombrich inizia dal pannolino, e dalle vite dei genitori e dei nonni, ma poi entra subito in materia con “i più grandi inventori”, l'umanità preistorica. Nel suo racconto si appoggia con grande intuito su ciò che i bambini sanno, spingendo la loro fantasia, ma senza evitare i punti dolorosi: come nel capitolo sui cavalieri («Degli antichi cavalieri avrai certo già sentito parlare...») che conclude parlando molto seriamente delle crociate. Il libro è  incentrato sull'Europa ma con un capitolo sull'India e due sulla Cina, forse poco nell'insieme dell'opera ma comunque un tentativo pionieristico di aprirsi a una "world history" di cui l'esigenza è molto più diffusa oggi che nella scuola europea degli anni Trenta. Gombrich è anche originale nel dare spazio alla storia della scienza e della tecnica, mentre a scuola la scienza continua a essere proposta come una entità monolitica e senza storia. Entrambi questi aspetti mostrano che egli aveva compreso, da giovane ricercatore, che il mondo che aspettava i bambini sarebbe stato contrassegnato dal ruolo del sapere e dalla convivenza o rivalità fra ambiti culturali con proprie peculiarità in ogni punto del globo.

La matematica è quindi presente nel libro di Gombrich, e vogliamo ricordare due passi molto belli. La storia più remota dei simboli numerici era allora scarsamente conosciuta negli anni Trenta, ma egli racconta invece delle cifre indiane usate dagli arabi:

«Più ancora che dai persiani, gli arabi impararono dai greci che abitavano le città conquistate nell'impero romano d'Oriente. Presto infatti smisero di bruciare i libri, e anzi si misero a raccoglierli e a leggerli. Leggevano volentieri soprattutto gli scritti di Aristotele, il grande maestro di Alessandro Magno, che tradussero in arabo. Da lui impararono a occuparsi di tutte le cose della natura e a ricercare le cause di tutte le cose. Una attività che praticarono poi volentieri e con solerzia. Molti nome delle scienze che prima o poi incontrerai a scuola vengono dall'arabo, come la "chimica” o l'“algebra”. Il libro che tieni in mano in questo istante è fatto di carta. Anche questa è una cosa che dobbiamo agli arabi, che a loro volta l'avevano imparato da prigionieri di guerra cinesi.
Ma per due cose soprattutto io sono grato agli arabi. Una sono le straordinarie favole della loro tradizione orale e scritta che puoi leggere nelle Mille e una notte. La seconda cosa è forse più favolosa delle favole stesse, anche se a tutta prima non ti sembrerà così.»

Egli spiega il valore posizionale delle cifre e chiede: «Tu ci saresti riuscito a fare un'invenzione così comoda?»

Più favolosa delle favole stesse... addirittura magia, come scrive più avanti, parlando dell'età moderna:

“La cosa più strana è che in quello stesso periodo in cui il popolo era così superstizioso [si riferisce alla caccia alle streghe] c'erano alcuni che non avevano dimenticato il pensiero di Leonardo e degli altri grandi fiorentini, che continuarono a tenere gli occhi aperti e a riconoscere il mondo per quello che è realmente. Furono costoro a trovare la vera magia, quella grazie alla quale si può sapere ciò che è stato e ciò che sarà, grazie alla quale si riesce a stabilire di che materia è composta una stella che è lontana da noi miliardi di chilometri, o grazie alla quale si può prevedere con precisione quando si verificherà un'eclissi di sole e in quali luoghi della Terra sarà visibile.
Questa magia era la matematica. Non che quelle persone l'avessero inventata, dal momento che i mercanti aveva sempre saputo far di conto, però loro si accorsero sempre più chiaramente di quanto in natura si lascia individuare da leggi matematiche. Di come un pendolo lungo 98 centimetri e 1 millimetro ci impiega esattamente un secondo per compiere un'oscillazione, e da che cosa dipende questo fenomeno. Si trattava di quelle che vennero chiamate le “leggi della natura”. Già Leonardo da Vinci aveva affermato che “la natura non rompe la sua legge”, e ora si seppe con certezza che ogni fenomeno naturale, che sia stato misurato e descritto con precisione una volta, si ripete sempre allo stesso modo, e non può fare altrimenti. era una scoperta inaudita e una magia ben più grande di tutte quelle imputate alle streghe. Ora infatti l'intera natura, le stelle e le gocce d'acqua, la caduta di una pietra e il vibrare della corda di un violino non erano più un caos folle e inspiegabile capace solo di impaurire gli uomini. Chi conosceva la formula matematica giusta possedeva la formula magica di ogni cosa. E alla corda di violino poteva dire: “Se vuoi suonare un la, devi essere lunga così, tesa così, e oscillare in qua e in là 435 volte al secondo”. E la corda lo fa.
Il primo a scoprire l'inaudito potere magico che si nasconde nella misurazione della natura fu un italiano: Galileo Galilei.»

(Ana Millán Gasca)