martedì 14 maggio 2013

Così i test Invalsi disorientano i bambini

Infuriano le polemiche sui test Invalsi e chi li difende usa un argomento perentorio: i critici sono insegnanti corporativi che si oppongono alla “valutazione oggettiva” per fare il comodo proprio. Vi sono persone del genere (come in ogni campo), ma molti si oppongono guardando al merito, su cui i paladini dei test sono elusivi. Proviamo a vedere su esempi cosa si sta confezionando per valutare i nostri bambini.
Un insegnante mi invia, con commenti pertinenti, due test di matematica recentemente “somministrati”. Nel test D2 si propone in modo obliquo di effettuare la sottrazione 150 – 40 attraverso il calcolo dell’altezza di una bambina. Vi sono tanti modi di proporre una sottrazione ma questo è il più bizzarro di tutti. Provate a chiedere a un bambino intelligente. La prima cosa che vi dirà – «con quella chiarezza e profondità di pensiero che solo i bambini piccoli possono avere, i bambini o i grandi filosofi il cui vigore speculativo si apparenta alla semplicità e alla forza del sentimento infantile» (V. Grossmann in “Vita e destino”) – è: dove mai si è visto un metro simile? Non solo è scomodo, ma è innaturale, perché si cresce dal basso verso l’alto. Inoltre, se proprio si vuol procedere dall’alto al basso, basta applicare alla testa della bambina un metro a striscia e stenderlo in giù. Si dirà che l’intento è di provocare un calcolo in un “modello” astratto di una situazione reale. Ma così si presuppone un concetto difficile, che è alla base del delicato rapporto tra geometria e aritmetica: che i numeri si rappresentano sulla retta in modo equivalente in un verso o nell’altro, e che la scelta del punto di origine è arbitraria. Chi ha ideato il test propone al bambino un calcolo aritmetico attraverso una situazione concreta irrealistica costruita su concetti formali non esplicitati. Chi è costui? Una persona dalle idee didatticamente confuse o un sadico, che pensa la matematica come un’enigmistica a trappole?



Nel test D19 l’approccio è rovesciato. Invece di provocare il bambino con concetti formali impliciti, ci si inchina all’immagine di un essere puramente intuitivo, incapace di astrazione. Il test vuole individuare se il bambino ha chiara l’idea di probabilità e la traduce in quella di “facile”. Commenta giustamente l’insegnante che chi ha ideato il test rivela la sua incompetenza matematica – la parola “facile” in matematica è priva di significato – e linguistica: perché mai un bambino di 7 anni dovrebbe considerare sinonimi “facile” e “probabile”? È noto che nel linguaggio comune si usa dire: «È facile che piova». Ma ciò non ha nulla a che vedere con il concetto quantitativo di probabilità che è notoriamente molto più ristretto di quelli analoghi del senso comune. Questo è un test di matematica, ma di matematica non c’è nulla, bensì una confusione che allontana dalla comprensione del concetto matematico, anche perché il disegno è sbagliato: le palline nere e bianche sono a gruppi separati, mentre una corretta valutazione di probabilità richiede che siano mescolate. Un bambino dotato della profondità di pensiero di cui si diceva, e che abbia visto in televisione che, al lotto, prima di estrarre le palline si agita l’urna, penserà che vi sia qualcosa dietro questa separazione e che la domanda contenga un trabocchetto.


Nonostante si muovano in direzioni opposte questi test hanno un tratto comune: un’idea di “bambino” preconfezionata da ideologie tecnocratiche. È un bambino astratto, visto nella pura attività di apprendimento formalizzata in queste ideologie. È un po’ come in economia l’homo oeconomicus, l’uomo considerato astrattamente nella mera funzione di produzione e scambio di merci: il puer discens, il “bambino apprendente”. Inutile dire che queste astrazioni non funzionano, né in economia né nell’insegnamento.
È con simili test che l’Invalsi pretende di conseguire una valutazione “rigorosa” e “oggettiva” degli apprendimenti in quanto ente valutatore del sistema? Ogni commento è superfluo, salvo la conferma che nulla può sostituire la funzione, educativa e valutativa, di un buon insegnante. Tante cose si possono fare in classe, anche proporre problemi a trabocchetto, ma in un processo didattico basato sul dialogo, non sottoponendo il bambino a test che generano una profonda antipatia per la matematica. E la valutazione? Certo, gli insegnanti debbono migliorare e farsi valutare. Ma a questo non servono test sui loro allievi, bensì processi di formazione e valutazione in ingresso e in servizio, costruiti (con l’ausilio di commissioni ispettive) entro la “comunità educante” (in collaborazione tra scuola e università) e non affidati al controllo incontrollato di enti burocratici di stato.

(Giorgio Israel – Il Messaggero, 13 maggio 2013)


11 commenti:

  1. Non lo credevo possibile. Professore, lei e' troppo gentile. Questa e' cretineria pura, altro che puer discens. Sulla prova solo di queste due domande io licenzierei l'intero strato superiore del ministero, perche' chi ha colpa non e' solo il cretino che ha concepito le domande, ma tutti i cretini a monte e a valle che non hanno fatto un casino immane il momento che le hanno viste. Chi tace acconsente, e chi ha taciuto di fronte a questi orrori ne e' corresponsabile.

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  2. E' più facile prendere una pallina nera, perchè si trova più in alto nel sacchetto!

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  3. Segnalo anche la domanda delle monete da 5 euro e dei centesimi: si vuole scoprire se sanno sommare o se sanno riconoscere i centesimi di euro?

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  4. La cosa più triste è che alla primaria e anche alla secondaria di primo grado ormai i ragazzi passano buona parte dell'anno a fare le scimmiette addestrate per risolvere questi test demenziali. Esistono libri in commercio per effettuare le simulazioni dei test e molti insegnanti li fanno acquistare. Inoltre, per non dover faticare troppo, ormai i voti durante l'anno vengono assegnati direttamente sulle simulazioni degli invalsi: in questo modo, quello che doveva essere uno strumento di verifica di un percorso formativo si è trasformato nel percorso stesso. E ho le prove di quel che dico.

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  5. Gent.mo prof. Israel,
    come docente la ringrazio per la battaglia di civiltà che sta conducendo contro l'abominio delle prove Invalsi. La categoria professionale di cui faccio parte però non merita che ci sia chi combatta al suo posto. E lo dico con la morte nel cuore e con la delusione di chi si è stancato di lottare in solitudine o quasi. Ma lo dico anche con tanta rabbia, perché l'ideologia che si nasconde dietro le prove Invalsi mi fa rabbrividire come insegnante delle scuole superiori e come laureato in matematica.
    Non me la prendo con gli studenti che spesso organizzano “scioperi” pretestuosi ma diligentemente entrano a scuola il giorno delle prove Invalsi. Non me la prendo, dicevo, perché non mi permetterei mai di caricare su degli adolescenti responsabilità che sono degli adulti.
    Non me la prendo nemmeno con i loro genitori che li mandano a scuola, perché la maggior parte di loro non ha capito cosa sia veramente l'Invalsi e quali finalità persegue.
    Me la prendo però con i miei colleghi, perché per bloccare le prove Invalsi sarebbe bastato che i docenti somministratori avessero aderito allo sciopero. E' evidente quindi che gran parte del corpo docente italiano trova normale che il servizio scolastico venga valutato con simili test. Probabilmente riterrà pure scientifica la misura delle “competenze” (altro termine fumoso) che viene fuori dall'elaborazione statistica di questi dati. A quel punto il corpo docente non si lamenterà nemmeno quando il test Invalsi sostituirà la terza prova all'esame di stato, mandando in malora la libertà di insegnamento costituzionalmente garantita per tornare al più becero dirigismo ministeriale.
    Vede professore, sono sempre più convinto si tratti di un vizio d'origine, quel conformismo che spinge gli insegnanti italiani ad adeguarsi passivamente a qualsiasi cialtronata che arrivi dall'alto.
    Quando il MIUR parla bisogna “ubbidir tacendo”. Insomma, l'elogio del politicamente corretto arriva proprio da chi, per mestiere, dovrebbe insegnare agli studenti a ragionare autonomamente.
    Questo spiega, fra le altre cose, anche perché i docenti italiani non si sono opposti all'ideologia fascista e anzi l'hanno propagandata per vent'anni nelle scuole di ogni ordine e grado. In fondo, con le debite proporzioni, il discorso non cambia.
    Perdoni lo sfogo, ma sono troppo deluso.
    Ringraziandola anticipatamente per lo spazio che vorrà concedermi, la saluto cordialmente.

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    1. Caro Simone, mi sono permessa di copiare e incollare sul mio profilo fb, indicando la fonte, la tua risposta che purtroppo condivido nelle virgole. pensa che io sto diffondendo a scuola mia la lettera aperta di Israel alla Carrozza, diffondendo tra i colleghi. ebbene, molti di loro non conoscono Israel e i suoi articoli oltre che i suoi lavori (dico tra i docenti di matematica e fisica). solo una collega mi fa: "sì lo conosco, però questi intellettuali di sinistra sono troppo astratti". beh... la dice lunga. cioè, voglio dire, io insegnante di filosofia seguo israel anche da un punto di vista, diciamo, di aggiornamento e approfondimento, mi informo ecco tutto. la massa dei docenti credo che passi il suo tempo a programmare competenze, cartacce, certificazioni e correeggere i compiti. ahimé con gli INVALSI tutto ciò si aggraverà. il docente in Italia è per lo più, allo stato delle cose, un amministrativo, con tutto il rispetto per ggli amministrativi. ...
      carla fabiani

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    2. Dica alla sua amica che, per aver presieduto una commissione durante il ministero Gelmini, sono stato trattato come un reazionario, anzi un fascista, ed equiparato a Marco Biagi, tanto che ho dovuto rivolgermi alla Digos... Perciò è ironico che sia visto male anche come "intellettuale di sinistra". Che debbo fare?...

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    3. ahahahah! riferirò testualmente! che fare? Lei deve continuare così, aggiungo che, sempre a scuola mia c'è anche un prof. di religione che la segue attentamente. certo, se la seguissero pure i docenti di matematica e fisica forse sarebbe ancora meglio! un caro saluto e ancora GRAZIE

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  6. Sono sbigottita. Povera scuola italiana, poveri ragazzini,poveri noi tutti.
    Nessuno si occupa di ciò. I genitori non hanno la più pallida idea di ciò che sta accadendo ai loro figli.
    Eppure dobbiamo (non so come) resistere, resistere

    Lilla

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  7. A me il sacchetto sembra chiuso; di conseguenza il bambino non prende alcuna pallina.
    Nessuna delle risposte proposte è corretta.

    Mi perdoni l'ironia, prof.Israel, ma a me è rimasta solo quella.
    La ringrazio per la sua battaglia contro l'INVALSI e la politica ministeriale sulla valutazione delle scuole italiane.
    Colgo l'occasione per salutarla e ricordarle che per me questa è la battaglia finale e decisiva.
    Roberto Semeraro, prof. di Matematica presso il Liceo Scientifico A. Serpieri di Rimini.

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  8. Condividendo le ragioni di Giorgio Israel sulla valutazione delle scuole da parte dell'INVALSI? Guardate cosa succede negli USA. Un mio nuovo articolo. http://www.gildaprofessionedocente.it/public/news/documenti/235_zpYvM.pdf Ciao Piero Morpurgo

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